13 luglio 2014, Maracanã, Rio de Janeiro

Aggiudicata definitivamente al Brasile nel 1970 la Coppa Rimet, la FIFA istituì un nuovo trofeo, la Coppa del mondo. Esso non verrà mai assegnato permanentemente ad una nazione, indipendentemente dal numero di vittorie raggiunte. Dopo le 9 edizioni della Coppa Rimet sono state disputate 11 edizioni del Campionato del mondo. La ventesima, splendida, edizione dei "Mondiali", disputata in Brasile nel 2014 ha arriso per la quarta volta nella storia alla Deutsche Fußballnationalmannschaft.

1974 | I tedeschi sconfiggono il 'calcio totale'

di Adalberto Bortolotti *

Da tempo il calcio aveva deciso di celebrare il suo decimo appuntamento mondiale in Germania Occidentale e la ricorrenza andò a coincidere con il periodo di massimo fulgore del football tedesco. Seconda alla Coppa Rimet del 1966, terza classificata quattro anni dopo in Messico, ai Campionati Europei del 1972 la Germania Ovest aveva prevalso sugli avversari con grande facilità, imponendo una squadra quasi perfetta, che ruotava attorno ai fuoriclasse Beckenbauer e Müller. Nello stesso anno Monaco aveva ospitato le Olimpiadi, tragicamente finite nel sangue per l'assalto al villaggio israeliano del commando palestinese Settembre Nero. Quell'ombra pesò molto sullo svolgimento del Mondiale, stretto in una gabbia di rigorose misure di sicurezza e quindi privato di quell'atmosfera di fiesta popolare che in Messico, nell'edizione precedente, aveva toccato i suoi momenti più genuini e inebrianti.

7 luglio 1974, Olympiastadion, München
Der Bomber der Nation colpisce e affonda anche la grande meraviglia del torneo
Il Brasile si era portato definitivamente a casa la Coppa Rimet, dopo aver centrato tre vittorie nel breve arco di quattro Mondiali, dal 1958 al 1970. Il concorso lanciato dalla FIFA per creare il nuovo trofeo da mettere in palio vide prevalere, fra 53 bozzetti, l'opera dello scultore italiano Silvio Gazzaniga, due atleti con le mani levate in alto a sostenere il globo. Il trofeo, 36 cm di altezza, era stato scolpito con 5 kg d'oro massiccio su una base di 13 cm di larghezza. Il nuovo nome era Coppa FIFA e, a differenza della precedente, nessuna nazione avrebbe potuto aggiudicarsela a titolo definitivo. Al campione in carica sarebbe stata assegnata una piccola copia, mentre l'originale sarebbe rimasto di proprietà della Federazione internazionale.

Novantasette paesi, dai cinque continenti, si erano iscritti alle qualificazioni. La fase finale subì un ulteriore cambiamento di formula. Dopo i soliti quattro gironi, deputati a ridurre da sedici a otto le finaliste, non ci sarebbe stata l'eliminazione diretta, ma altri due raggruppamenti, di quattro squadre ciascuno. Le prime due classificate si sarebbero incontrate nella finalissima, le due seconde nella 'finalina' per il terzo posto. In tal modo, le partite salivano da 32 a 38, per la gioia degli organizzatori.

Gli anni Settanta avevano portato notevoli rivolgimenti sotto il profilo tecnico. Il Brasile aveva chiuso il suo ciclo glorioso; l'Inghilterra era rientrata nei ranghi; la stessa Italia di Messico 1970 avvertiva i sintomi dell'usura, anche se nel 1973 aveva battuto, per la prima volta nella sua storia calcistica, l'Inghilterra sul campo di Wembley, e il suo portiere Zoff aveva accumulato un impressionante record di imbattibilità, quasi due anni senza subire un solo gol. Si profilavano nuove realtà, come la Polonia, autentica rivelazione del torneo olimpico di Monaco, e soprattutto l'Olanda, il cui calcio si era prima imposto a livello di club, con il dominio dell'Ajax nella Coppa dei Campioni, poi anche con la nazionale. Gli olandesi praticavano un gioco nuovo, affrancato dai ruoli, che prevedeva l'intercambiabilità fra i reparti e non offriva agli avversari valide contromisure. Fu chiamato 'calcio totale' e destò subito grande ammirazione, perché dominato da una mentalità offensiva, senza calcoli, e sostenuto da un ritmo e una velocità sino allora sconosciuti. Il modulo, poi, veniva esaltato da interpreti d'eccezione, primo fra tutti Johan Cruijff, fuoriclasse epocale, che contendeva la ribalta europea al tedesco Franz Beckenbauer. Fra vecchio e nuovo, si collocava la Germania Ovest, che si impose nella finale sull'Olanda, con l'aiuto (seppure non scandaloso, come altre volte era successo) del fattore campo, ma soprattutto grazie alla sua capacità di mediare fra i valori della tradizione e le innovazioni del calcio olandese. Fu una finale densa, come forse nessun'altra, di significati storici. Solo gli osservatori superficiali conclusero che il 7 luglio 1974, nell'avveniristico Olympiastadion di Monaco, il trionfo di Beckenbauer su Cruijff fosse la vittoria del calcio conservatore su quello riformista.

22 giugno 1974, Volksparkstadion, Hamburg
Manco a dirlo, è il "Kaiser" che officia la prima (e unica) partita
tra la Germania Federale (BRD) e la Germania Democratica (DDR)
A quel punto, le due finaliste di Città del Messico si erano già fatte da parte: il Brasile con decoro, inchinandosi alla straripante superiorità atletica degli olandesi in semifinale, ma ancora quarto nel ranking conclusivo; l'Italia fra violente polemiche, prima oggetto di manifestazioni di entusiasmo da parte di 60.000 emigrati, poi della contestazione disperata dei tifosi traditi. L'Italia non superò il primo girone, dominato dalla fresca Polonia. A parità di punti con l'Argentina, decise la differenza reti, e l'ago della bilancia fu la partita giocata contro Haiti: gli azzurri vinsero solo per 3-1, gli argentini si imposero per 4-1. L'eliminazione non fu il lato peggiore. Giorgio Chinaglia contestò pubblicamente il commissario tecnico Valcareggi e la Polonia denunciò un tentativo di corruzione (mai provato) per l'ultimo match, in cui un pareggio avrebbe consentito all'Italia di andare avanti, pur preservando il primo posto dei polacchi. Quel campionato decretò la fine della lunga (e tutto sommato felice) direzione tecnica di Valcareggi, nonché il tramonto di campioni quali Rivera, Mazzola e Riva che avevano scritto pagine importanti nella storia del calcio italiano.

L'Olanda aveva stupito sin dall'avvio: 2-0 all'Uruguay, 4-1 alla Bulgaria, un portiere che usciva dall'area per prendere parte al gioco, cose mai viste. In quella squadra, chiamata per il colore delle maglie e per l'automatismo della sua manovra 'l'arancia meccanica', sembrava impossibile trovare un punto debole. Anche nel secondo girone Cruijff e i suoi compagni imperversarono senza sosta: 4-0 all'Argentina, 2-0 alla Germania Est, 2-0 al Brasile, per un totale di otto gol realizzati, nessuno subito. Le porte della finalissima si spalancarono e il trionfo sembrava sicuro.

23 giugno 1974, Neckarstadion, Stuttgart
Un'Italia a terra esce per l'ennesima volta dai gironi eliminatori
Dall'altra parte la Germania Ovest riuscì a battere senza troppi problemi Svezia e Jugoslavia, poi giocò contro la Polonia per il primo posto e per la finale. Una partita memorabile sotto il diluvio, giocata a ritmi serrati. La Polonia, sino a quel momento, aveva collezionato cinque vittorie su cinque. La Germania Ovest aveva ceduto, nel girone preliminare, alla Germania Est nel primo, storico confronto ufficiale fra le due parti del paese: peraltro, a quel punto, la qualificazione era già assicurata. La Polonia dominò il primo tempo senza segnare, poi i tedeschi presero vigore e il portiere polacco Jan Tomaszewski giganteggiò parando anche un rigore. Fu il cannoniere Gerd Müller, sino a quel momento rimasto in ombra, a batterlo con uno dei suoi proverbiali riflessi sottorete. Alla fortissima Polonia andarono tutti gli elogi, ai quali aggiunse in concreto il terzo posto conquistato sul Brasile.

Gli olandesi iniziarono dunque la finale con i pronostici a loro favore. Al fischio d'inizio tennero la palla per un minuto, senza farla toccare ai tedeschi. Al termine di quella manovra insistita, Cruijff si lanciò verso la porta e in piena area fu abbattuto dal suo marcatore, Berti Vogts. L'arbitro inglese John Taylor concesse il rigore e l'Olanda passò in vantaggio. Fu la sua fine. L'illusione di una vittoria più facile del previsto la paralizzò. La Germania Ovest riordinò pazientemente le file, pareggiò a sua volta con un rigore, passò in vantaggio prima dell'intervallo con il guizzo beffardo del solito Müller. Nella ripresa, l'Olanda uscì dal torpore, attaccò a tutto spiano, ma era troppo tardi. Il calcio totale era stato sconfitto un po' dall'intelligenza avversaria e molto dalla propria presunzione. Disse Cruijff, anni dopo: "Quel titolo non lo vinse la Germania, lo perdemmo noi". Fu per gli olandesi una magra consolazione essersi imposti all'attenzione del mondo calcistico come il modello da imitare.

* Tratto da I Campionati Mondiali, in Enciclopedia dello Sport, Treccani, 2002 (© Treccani)

1978 | Qualche ombra sul trionfo dell'Argentina

di Adalberto Bortolotti *

Più volte l'Argentina si era candidata a ospitare il Campionato del Mondo, ma si era vista sempre penalizzare a causa o delle precarie condizioni economiche o dell'instabilità politica. Avanzata sin dal 1966, la sua richiesta di organizzare l'undicesima edizione, in programma nel 1978, aveva ricevuto una prima conferma nel congresso FIFA del 1970 a Città del Messico, per essere avallata in via definitiva all'assise di Monaco 1974, in coincidenza dei Mondiali tedeschi. Nel 1973, il ritorno al potere di Juan Domingo Perón aveva portato un'apparente tregua sociale e politica nel paese, sicché i massimi dirigenti calcistici si erano convinti che fosse finalmente arrivata l'occasione favorevole. Da quel momento, però, gli avvenimenti erano precipitati. Nel luglio del 1974 era morto Perón, e subito dopo, in un contesto di violenza e disordini dilaganti, un colpo di Stato aveva portato al potere il generale Jorge Rafael Videla. Mancavano appena due anni all'appuntamento con la Coppa del Mondo e l'Argentina non si era ancora attivata sul piano organizzativo e delle strutture. Tuttavia il nuovo regime non volle perdere la possibilità di utilizzare l'evento per finalità propagandistiche offrendo al mondo un'immagine sapientemente edulcorata, da contrapporre a quella che gli organi d'informazione internazionali diffondevano sui suoi crimini e le sue crudeltà.

25 giugno 1978, Estadio Monumental, Buenos Aires
Jorge Rafael Videla, Presidente della Giunta militare dell'Argentina,
più semplicemente un dittatore, ignobile responsabile del genocidio dei desaparecidos,
consegna la Coppa a Daniel Passarella, capitano dell'Albiceleste
Il Campionato del Mondo divenne così, ancora una volta, lo strumento di un'operazione politica. Sul piano dello sforzo organizzativo, la Giunta militare fece veri miracoli. L'EAM (Ente autarquico mundial) fondato appena nel dicembre del 1976, portò a termine, a prezzo di un salasso economico in seguito duramente scontato, tutti i lavori previsti e seppe abilmente far leva sul forte nazionalismo e sull'amore per il calcio degli argentini, per coinvolgerli in un frenetico attivismo. Lo slogan "venticinco millones de argentinos jugaremos el mundial" scandì un mese di esaltazione collettiva e di successi che, forse, consentì a Videla di prolungare (anche se non di molto) la sua dittatura. L'esito dell'operazione non poteva che essere la vittoria della squadra di casa, destinata a trasformarsi in una fabbrica di consenso. Sicché, dopo le edizioni del 1970 e del 1974 che erano risultate sufficientemente trasparenti, quella del 1978 tornò a gettare più di un'ombra sulla correttezza del verdetto sportivo. 

L'episodio rimasto nella cronaca con la pittoresca definizione di mamelada peruana (ovvero la benevola concessione, da parte del Perù all'Argentina, di una vittoria tanto larga da superare il Brasile nella differenza reti) fu la vistosa punta dell'iceberg. Ciò non sarebbe stato sufficiente, però, se l'Argentina non avesse messo in campo una squadra di buon livello, forte di una preparazione mai così accurata e puntigliosa sotto la guida del commissario tecnico Luís Cesar Menotti che, dietro la promessa del trionfo finale, aveva ottenuto carta bianca. Peraltro, tutte le volte che si rese necessario un aiuto, a cominciare dai primi duri passi con Ungheria e Francia, l'aiuto puntualmente arrivò.

18 giugno 1978, Estadio Olímpico, Córdoba
Dieter Müller incorna il gol dell'illusorio vantaggio dei campioni in carica.
Gli olandesi pareggeranno e accederano nuovamente a una finale con i padroni di casa
Ancora una volta finì seconda l'Olanda, sconfitta in finale, come quattro anni prima, dalla nazionale di casa: un'Olanda offuscata nei valori individuali, che non aveva più Cruijff e giocava un calcio assai meno spettacolare, ma sempre formidabile sotto il profilo atletico. Terzo fu il Brasile, unica squadra ad aver terminato il torneo senza sconfitte, un Brasile a sua volta snaturato, più 'europeo', tattico e concreto, che non incantava, ma che era difficile battere (infatti non ci riuscì nessuno, sul campo). 

La rivelazione, in chiave tecnica, del Mundial argentino fu però l'Italia, penalizzata da un quarto posto che alla vigilia sarebbe stato sottoscritto con entusiasmo, ma che alla prova dei fatti risultò chiaramente inadeguato ai meriti. Dopo l'insuccesso di Stoccarda e la precoce eliminazione del 1974, l'Italia aveva decisamente cambiato rotta. Chiuso il lungo e glorioso ciclo del commissario tecnico Valcareggi, la nazionale era stata affidata all'anziano Fulvio Bernardini, che completò, fra le polemiche e le sconfitte, un eccellente lavoro di transizione, consegnando al suo successore Enzo Bearzot un nucleo di giovani sui quali costruire il futuro. Bearzot vi aggiunse un'impronta personale, ricreando uno spirito di gruppo che agli azzurri mancava dai lontani tempi di Vittorio Pozzo. La mossa decisiva del tecnico fu quella di inserire nella formazione titolare, all'ultimo momento, due talenti esordienti, il terzino Antonio Cabrini e il centravanti Paolo Rossi. Quest'ultimo, con il suo eccezionale senso del gol, conquistò gli argentini e si guadagnò un nomignolo, Pablito, che lo accompagnò per tutta la carriera. Quell'Italia fu una sorpresa per la critica estera, perché giocava un calcio coraggioso, d'attacco, avendo superato lo schema tradizionale, che privilegiava il gioco attendista e di rimessa. Il modulo tattico di Bearzot fu definito 'zona mista', perché parzialmente apriva alla zona d'ispirazione olandese, pur mantenendo alcune marcature individuali in fase difensiva: una contaminazione particolarmente efficace che avrebbe trovato quattro anni dopo, in Spagna, le soddisfazioni concrete mancate in Argentina.

2 giugno 1978, Estadio José María Minella, Mar del Plata
Gli Azzurri festeggiano il gol della vittoria contro la Francia di Renato Zaccarelli,
punto di inizio di uno splendido torneo
L'Italia finì in un girone di ferro, con Francia, Ungheria e Argentina. Le batté tutte e tre, anche i favoritissimi padroni di casa, grazie a un fulmineo contropiede di Roberto Bettega, e forse quello fu un errore tattico, dal momento che il passaggio al turno successivo era comunque già assicurato. Con il primato del girone, l'Italia entrò nel gruppo metropolitano di Buenos Aires, con Olanda, Germania Ovest e Austria, mentre gli argentini dovettero trasferirsi a Rosario, per affrontare il temutissimo Brasile, il Perù e la Polonia. Dopo il pareggio con la Germania Ovest e la vittoria sull'Austria, l'Italia scese in campo contro gli olandesi per conquistarsi il diritto a disputare la finalissima. Andò in vantaggio, ma l'arbitro mostrò grande tolleranza nei confronti degli olandesi che giocarono una partita molto violenta. L'Olanda approfittò di una fatale incertezza del portiere Zoff su un tiro dalla grande distanza di Arie Haan e concluse la partita in vantaggio per 2-1. All'Italia non restò che la finale di consolazione per il terzo posto.

Nell'altro raggruppamento, Argentina e Brasile pareggiarono 0-0 un match nervoso, dominato dal reciproco timore, mentre non ebbero problemi con le altre due avversarie. Il Brasile chiuse prima i suoi impegni con una differenza reti di +5, frutto del 3-0 al Perù e del 3-1 alla Polonia. L'Argentina aveva superato i polacchi per 2-0. Per accedere alla finalissima, doveva infliggere ai peruviani quattro gol di scarto. Il primo tempo terminò 2-0, ma nella ripresa il Perù, nella cui porta giocava Ramón Quiroga, argentino di nascita e sottoposto alla vigilia a forti pressioni, abbassò vistosamente la guardia e chiuse con un inglorioso 0-6. Inutilmente il Brasile lanciò l'accusa di combine. L'Argentina si apprestò a incontrare l'Olanda in un clima di grande entusiasmo popolare. Arbitro l'italiano Sergio Gonella, la partita riservò grandi emozioni. A 1 minuto dal termine, sul punteggio di 1-1, un tiro della punta olandese Robert Rensenbrink, a portiere battuto, colpì il palo; dieci centimetri più in là e sarebbe stata scritta un'altra storia. Nei tempi supplementari, peraltro, l'Argentina impose la propria tecnica e andò a rete altre due volte. Era una squadra potente, stretta in difesa attorno al leader Daniel Alberto Passarella, lucida a centrocampo con il regista Osvaldo Ardiles, fantasiosa in attacco con l'ala Daniel Bertoni e il goleador Mario Kempes. I favoritismi erano stati ripetuti e importanti, ma il vincitore non era tecnicamente indegno. Il Brasile batté l'Italia, ancora tradita dal suo campione simbolo, Zoff, sui tiri da lontano, e si aggiudicò il terzo posto. Erano state le due squadre migliori del Mundial e la consapevolezza di ciò fu per entrambe causa di profonda frustrazione.

* Tratto da I Campionati Mondiali, in Enciclopedia dello Sport, Treccani, 2002 (© Treccani)

1982 | Incanta l'Italia di Rossi

di Adalberto Bortolotti *

Arrivare al terzo titolo mondiale fu, per l'Italia, una lunga corsa sull'abisso. Il ricordo del quarto posto d'Argentina, con le sue lusinghiere prospettive, si era dileguato in fretta. Sul florido calcio italiano, in vigorosa espansione, si era abbattuta una tempesta di vaste proporzioni, capace di minare alla radice l'intero fenomeno e metterne in forse il piedistallo più solido, la credibilità: lo scandalo del calcio-scommesse, le partite truccate, le manette negli stadi e, di conseguenza, il fallimento negli Europei del 1980, che erano stati programmati in casa proprio nella speranza di una grande vittoria. Quarto posto anche lì, ma assai diverso da quello esaltante di Buenos Aires.

23 giugno 1982, Estadio de Balaídos,Vigo
I "Leoni indomabili" escono dal loro primo Mondiale senza sconfitte.
Albert Roger Milla scambia affettuosità con il nostro Dinosauro
Per ricostruire restavano due anni. I mutevoli umori delle folle calcistiche furono positivamente influenzati dalla riapertura agli stranieri: un aiuto a dimenticare. La nazionale si riciclò pazientemente e inseguì la qualificazione in un clima di diffidenza e prevenzione. I censori di Bearzot rialzarono la testa. L'1-3 in Danimarca e l'1-0 sul Lussemburgo scatenarono attacchi sempre più furibondi contro il commissario tecnico. Fallito il ricupero di Bettega, gravemente infortunato in Coppa dei Campioni, Bearzot, anche contro i suggerimenti che gli provenivano dall'alto, riprese in forza Paolo Rossi, la cui squalifica per il coinvolgimento nello scandalo-scommesse terminava proprio due mesi prima dell'appuntamento mondiale. Fu quel gioco d'azzardo, condannato dai perbenisti e irriso dagli stessi tecnici, a modificare la scacchiera, assicurando all'Italia una squadra vincente, germinata come per miracolo fra i livori e le polemiche. Fu la grande vittoria di un uomo solo. Pozzo aveva conquistato due Mondiali, calandosi perfettamente nell'apparato organizzativo e sfruttandone abilmente il potenziale. Bearzot arrivò invece a combattere quell'apparato, isolandosi con i suoi giocatori in un clima di conflittualità contro gli stessi vertici federali. Ma fu proprio la sindrome di 'soli contro tutti' a far scattare nella squadra azzurra le giuste motivazioni per l'impresa.

I Mondiali di Spagna 1982 furono i primi a dimensione autenticamente universale. Africa e Asia, ormai consapevoli che i loro voti contavano come quelli degli altri, posero in termini ultimativi la richiesta di una partecipazione più larga alla fase finale. La soluzione unica e obbligata, per non toccare i privilegi tecnici delle scuole tradizionali, consisteva nell'ampliamento del numero delle finaliste. Da 16, le nazioni ammesse al Mondiale divennero così 24. Il compito di inaugurare il nuovo corso toccò alla Spagna, che si trovava nella situazione favorevole di essere già adeguatamente provvista di impianti e strutture in grado di reggere l'urto. Ancorata per lungo tempo a un'organizzazione regionalistica del calcio, la Spagna si era frantumata in tante isole perfettamente funzionanti. Il suo Mundial fu un esempio di efficienza.

2 luglio 1982, Estadio de Sarriá, Barcelona
Sotto 0:3 con gli odiati rivali, gli Argentini non ci stanno e saltano i nervi:
il ventiduenne Diego Armando lascia il campo all'85° dopo essersi fatto giustizia
Rotti gli argini, l'Africa ottenne due posti, l'Asia e l'Oceania insieme due, l'America centro-settentrionale due, contro i quattordici europei e i quattro sudamericani. Il maggior numero di posti disponibili attenuò molto la suspense delle qualificazioni. In Europa la sola esclusione di rilievo fu quella dell'Olanda, seconda alle due ultime edizioni, ma in piena crisi di ricambio generazionale. In Sud America restò fuori l'Uruguay due volte campione, a vantaggio del Perù, che da tempo gli era superiore. Trionfale risultò la qualificazione del Brasile, con quattro vittorie su altrettanti incontri, undici gol segnati e due subìti. Si annunciava come il rivale d'obbligo dell'Argentina, che alla squadra campione di quattro anni prima aveva aggiunto un giovane ed esplosivo fuoriclasse, Diego Armando Maradona. Esotiche novità arrivarono dagli altri continenti: Camerun e Algeria, Kuwait e Nuova Zelanda, mentre El Salvador e Honduras, che si erano letteralmente dichiarati guerra per partecipare ai Mondiali di Messico 1970, questa volta affrontarono in un clima solidale l'avventura.

Dato il maggior numero di partecipanti, cambiò ovviamente la formula. Sei gironi preliminari di quattro squadre ciascuno, le dodici superstiti suddivise in quattro gruppi a tre, le cui vincenti avrebbero dato vita a semifinali e finali. In tutto, era previsto un mese di competizioni.

L'Italia fu collocata nel periferico girone di Vigo, insieme con la Polonia di Zbigniew Boniek (già ingaggiato dalla Juventus per la stagione successiva), il Perù e il Camerun. Il passaggio del turno appariva una formalità. Fu invece il punto a più alto rischio dell'intero Campionato, in seguito trionfale. Gli incerti esiti iniziali degli azzurri riaccesero la polemica. Rossi era un pallido fantasma, che inseguiva in campo la passata grandezza. I riflessi appannati gli vanificavano la sola arma efficace, l'opportunismo sotto rete. A salvare la situazione furono la robustezza della difesa, la grinta di Marco Tardelli, le invenzioni di Bruno Conti che giocò in modo strepitoso. Dopo lo 0-0 con la Polonia, l'1-1 con il Perù, l'1-1 con il Camerun, l'Italia chiuse al secondo posto del girone, dietro la Polonia e affiancata al Camerun. A parità di punti e di differenza reti, gli azzurri ottennero una stentata qualificazione solo per aver segnato un gol in più dei diretti concorrenti. Il Camerun concluse il suo Mondiale senza aver perduto neppure una partita, ma questo non impedì una violenta sollevazione contro il tecnico francese Jean Vincent, che aveva diretto (con grande maestria tattica) la squadra africana. Due anni dopo, un discutibile 'Mundialgate' cercò di sollevare intorno all'incontro Italia-Camerun il sospetto della corruzione, una sopravvalutazione che quel modesto match sicuramente non meritava.

Le critiche ricevute dopo il deludente avvio indussero il clan italiano a inaugurare una singolare forma di protesta: il silenzio stampa, che avrebbe avuto in seguito tanti maldestri imitatori. Solo il capitano, Dino Zoff, era autorizzato a fornire ai cronisti le informazioni indispensabili. Questa iniziativa riscosse un grande successo di curiosità presso la stampa straniera, sicché l'Italia si trovò sulle prime pagine delle cronache internazionali, ben al di là dei meriti agonistici sino a quel momento raccolti.

8 luglio 1982, Estadio Ramón Sánchez Pizjuán, Sevilla
Altra semifinale epica dei tedeschi: Klaus Fischer pareggia così al 108°
Anche l'altra futura finalista, la Germania Ovest, incontrò impreviste difficoltà nel girone. A salvarla provvidero gli austriaci che, già sicuri del passaggio del turno, nell'ultima partita si fecero compiacentemente battere dai tedeschi, riaprendo loro le porte della qualificazione. A farne le spese fu l'Algeria, eliminata malgrado si fosse segnalata come la vera rivelazione di questo torneo. Le due rappresentanti africane tornarono così subito a casa, non senza giustificate recriminazioni. Due sole squadre chiusero il girone preliminare a pieno punteggio, l'Inghilterra e il Brasile. La Spagna, padrona di casa, si impose fruendo del tradizionale fattore campo.

I quattro gironi successivi, accorpati a seconda dei piazzamenti, videro l'Italia assegnata a un raggruppamento proibitivo, con l'Argentina campione in carica e il Brasile superfavorito. Andò meglio alla Francia, finita con Austria e Irlanda del Nord, mentre l'Inghilterra si trovò abbinata a Germania Ovest e Spagna. Polonia, URSS e Belgio formarono l'ultima terna.

Per l'Italia vi erano già pronostici di sconfitta. A Barcellona, nel piccolo stadio Sarriá battuto da un sole implacabile, gli azzurri affrontarono l'Argentina. Bearzot ordinò al terzino Claudio Gentile di montare una guardia serrata a Maradona, sino a portarlo fuori dal gioco. Gentile obbedì all'indicazione, favorito anche dalla benevolenza dell'arbitro rumeno Nicolae Rainea. Senza le prodezze del suo campione, l'Argentina si indebolì e perse fiducia. Nella ripresa, l'Italia attaccò, segnando con Tardelli e Cabrini, e consentì solo il punto della bandiera a Daniel Passarella. Rossi era ancora in crisi, ma gli azzurri erano nella condizione di aspettarlo.

Il Brasile spazzò via definitivamente l'Argentina. Maradona si fece espellere. Italia-Brasile diventava così un'eliminazione diretta, ma al Brasile, dotato di miglior differenza reti, sarebbe bastato un pareggio. Ma il Brasile voleva stravincere. A Gentile era stata affidata un'altra missione molto impegnativa: annullare il gioco di Zico. Anche quel compito fu portato a termine. Quel giorno Bearzot scelse nuovamente Paolo Rossi, proprio mentre la critica invocava la sua esclusione dalla squadra. Il primo gol fu di Rossi, poi pareggio di Sócrates, ancora Rossi, pareggio di Paolo Roberto Falcão, terzo gol di Rossi e a quel punto il Brasile si arrese. L'Italia aveva ritrovato il Pablito d'Argentina. Aveva anche battuto, in successione, le due squadre più forti del torneo.

12 luglio 1982
Grazie a un assist del Barone, Enzo Bearzot batte anche il Presidente: campione totale
Il resto fu un trionfo. Dagli altri gironi erano uscite Polonia, Francia e Germania Ovest: soltanto Europa, nella volata finale, da cui era esclusa solo la Spagna, sconfitta dai tedeschi in una partita ben arbitrata dall'italiano Paolo Casarin, restio a ogni condizionamento. Italia e Polonia si ritrovarono di fronte. A entrambe aveva giovato la fase iniziale giocata negli stadi freschi dell'Atlantico. Boniek, squalificato, non partecipò alla partita. Ma ciò era irrilevante, ormai Rossi aveva lanciato lo sprint. Altri due suoi gol, e fu conquistata la finale contro la Germania Ovest, che, pur dominata a centrocampo dalla Francia, aveva prevalso 5-4 ai calci di rigore, dopo i supplementari terminati 3-3, per l'incapacità dei francesi di gestire un vantaggio di due gol. Il fatto che a disputarsi il titolo fossero arrivate le due squadre più deludenti nella fase iniziale aveva un preciso significato. In un Mondiale così lungo e faticoso era importante saper dosare gli sforzi: era impossibile e controproducente tenere ritmi serrati dall'inizio alla fine. Il Brasile e l'Inghilterra avevano pagato a caro prezzo l'avvio sprint.

A Madrid, con il capo dello Stato Sandro Pertini a fare il tifo in tribuna, fra il re Juan Carlos e il Cancelliere tedesco, l'Italia si permise persino il lusso di sprecare un rigore, con Cabrini, prima di battere la Germania Ovest con facilità persino irridente. Bearzot aveva disposto marcature serrate, fra cui quella del giovane Giuseppe Bergomi su Karl Heinz Rummenigge. Fu ancora Rossi a segnare per primo con il suo sesto gol in tre partite. Tardelli e Alessandro Altobelli, che aveva preso il posto di Francesco Graziani, furono gli autori delle altre due reti italiane. Alla Germania Ovest rimase la consolazione di un gol di Paul Breitner, a mitigare la disfatta.

* Tratto da I Campionati Mondiali, in Enciclopedia dello Sport, Treccani, 2002 (© Treccani)

1986 | L'Argentina ringrazia Maradona

di Adalberto Bortolotti *

Quella del 1986 fu la prima replica della Coppa del Mondo in una sede già visitata. La Colombia aveva ottenuto da parte della FIFA (ancorata all'alternanza continentale, ma in difficoltà sul fronte americano) una designazione molto ottimistica. Le aspettative colombiane furono presto sopraffatte dai cronici problemi interni. Il Messico colse allora l'occasione per proporre una soluzione alternativa 'pronta per l'uso'. Gli impianti del 1970 erano ancora funzionanti, con qualche ritocco e una spesa contenuta, il Mundial avrebbe trovato sugli altipiani un sito adeguato. Il ricordo del 'magico' Mondiale del 1970 conquistò le menti e i cuori. Guillermo Canedo, il potente vicepresidente messicano della FIFA, garantì personalmente.

22 giugno 1986, Estadio Azteca, Città del Messico
Diego dopo averla combinata bella ...
Già in ristrettezza di tempi, il Messico ebbe la sfortuna di subire un rovinoso terremoto, otto mesi prima del grande appuntamento. Molti palazzi di Città del Messico crollarono come castelli di carta, inghiottendo e seppellendo migliaia di vittime. Scuole e ospedali in polvere, vecchie ville patrizie indenni senza una crepa. Ma la sera stessa, mentre nel mondo giungevano le immagini del disastro, Canedo proclamò: "Il Mundial si farà, nei tempi e luoghi stabiliti". Così fu, anche se a un prezzo molto alto. Il giorno dell'inaugurazione, una folla muta inalberava cartelli di protesta: "Il Mundial ha la sua casa, quando riavremo la nostra?" Tuttavia il Campionato servì anche a tacitare il malcontento.

I primi successi del Messico, portato a livelli competitivi inediti da un abile tecnico iugoslavo, Bora Milutinovic, cittadino del mondo e messicano d'adozione, esaltarono un popolo che dimenticava problemi e miserie, scendeva in piazza a far festa e si sentiva padrone del mondo grazie a un pallone. Il sogno del Messico si infranse però a Monterey, contro l'impietosa Germania Occidentale. Fu una sconfitta gloriosa, in linea con le tradizioni del paese. Il Mundial, come colore e allegria, finì quella sera stessa, e dopo ci fu spazio solo per il grande Maradona, capace di portare al titolo un'Argentina che, senza di lui, a stento sarebbe arrivata in semifinale. Così il Messico, che nel 1970 si era inchinato a Pelé e alla sua leggenda, sedici anni dopo celebrò il nuovo grande campione del calcio.

Il secondo Campionato del Mondo allargato a 24 finaliste aveva ritoccato la formula. Dopo i rituali sei gironi preliminari a quattro squadre, non si passò ai 'gironcini' a tre, che in precedenza si erano rivelati fonte di possibile combine, ma si tornò all'eliminazione diretta, più crudele ma inconfutabile. Per non ridurre il numero delle partite, si snaturò la fase di apertura: non soltanto le prime due squadre di ogni girone avrebbero superato il turno, ma anche le migliori quattro fra le sei terze classificate. Alla resa dei conti, si sarebbero giocate ben 36 partite solo per eliminare otto squadre. Le restanti 16 avrebbero dato vita al vero Mondiale, come lo si giocava nelle prime edizioni.

Sotto il cappello: Alexander Chapman Ferguson, allenatore della Scozia
L'Italia, campione in carica, fruì di un buon sorteggio, finendo con Argentina, Bulgaria e Corea del Sud. Bearzot aveva concluso le sue laboriose operazioni di riassetto della squadra, ripresentando un nutrito gruppo di reduci di Spagna, integrati da parziali novità e da qualche intuizione in extremis. Con Fernando De Napoli e Gianluca Vialli, il commissario tecnico ritenne di poter ripetere lo stratagemma riuscitogli otto anni prima con Cabrini e Rossi. Ma poi non credette sino in fondo a questo schema, e Vialli fu usato solo per qualche scampolo di partita, in alternativa a Conti. Tardelli e Rossi risultarono in gita-premio: i due protagonisti del 1982 non giocarono neppure un minuto, così come rimase fermo Aldo Serena, l'imponente centravanti partito dall'Italia come titolare, ma poi soppiantato in loco dall'agile Giuseppe Galderisi, ritenuto più adatto agli sforzi in altura.

L'Italia disputò contro la Bulgaria la partita inaugurale del Campionato in uno Stadio Azteca ancora ampliato (l'abbassamento di 10 m del terreno di gioco aveva consentito di ricavare un altro anello di gradinate). Gli azzurri, in vantaggio con un Altobelli in grandi condizioni, che i telecronisti messicani definivano monumental, si fecero raggiungere in chiusura dalla sola conclusione a rete dei bulgari. Pareggiarono anche con l'Argentina, in una gara di evidente non belligeranza, e infine piegarono la vivace Corea del Sud. Con quattro gol nelle prime tre partite, Altobelli si assicurò un ruolo di protagonista.

Non ci furono sorprese. Il Messico vinse addirittura il suo girone, il Brasile fece come al solito molte vittime, vincendo tutte e tre le partite, sotto la guida di Telê Santana, lo sconfitto di Spagna. Le grandi rivelazioni furono l'URSS e la Danimarca, il solo eliminato di riguardo il Portogallo. Come già in Spagna, le protagoniste della fase iniziale furono le prime a cadere. L'URSS affrontò in una partita traumatica il Belgio, che si impose per 4-3, con il determinante contributo dell'arbitro Erik Fredriksson. La Danimarca incontrò con ingenuità tattica la Spagna, finendo sconfitta da quattro gol di Butragueño, specialista del contropiede. Quasi lo emulò il centravanti inglese Gary Lineker, autore di una tripletta che annientò la Polonia. Ma il gol più spettacolare lo mise a segno il messicano Manuel Negrete, con una sforbiciata che proiettò la squadra di casa nei quarti di finale, scatenando l'entusiasmo popolare.

21 giugno 1986, Estadio Jalisco, Guadalajara
Numeri 10: Arthur Antunes Coimbra e Michel François Platini
L'Italia affrontò la Francia (campioni del mondo contro campioni d'Europa) in uno stadio periferico di Città del Messico. Bearzot visse una vigilia tormentata. Il suo credo calcistico prevedeva un gioco d'iniziativa, ma la squadra non rispondeva alle sue attese. Decise così di inserire un difensore in più, Giuseppe Baresi, con il compito di fermare l'ispiratore e il leader dei francesi, Michel Platini. Fu un boomerang. Platini, malgrado non fosse in gran forma, andò in gol dopo un quarto d'ora. La Francia raddoppiò con facilità sui giocatori azzurri a quel punto smarriti, e l'Italia andò a casa, quando ancora i giochi veri dovevano cominciare. Si chiuse lì la carriera di commissario tecnico di Bearzot, l'uomo che aveva dato all'Italia il terzo titolo mondiale.

Il quarto di finale più atteso mise di fronte Brasile e Francia. Il Brasile giocò meglio, colpì traverse e pali, ma vinse la Francia ai calci di rigore; fallirono la trasformazione dagli 11 metri tre eccellenti giocatori quali Zico, Platini, Sócrates. Il Messico di Milutinovic creò immensi problemi alla Germania Ovest del debuttante commissario tecnico Beckenbauer, il Kaiser. L'incontro finì 0-0 dopo 120 minuti. Ai rigori, il Messico cedette al 'terrore' di vincere. Mise a segno un solo tiro, contro i quattro degli impassibili tedeschi. Il Belgio batté anche la Spagna, e anche questa partita fu decisa dai calci di rigore.

Grandi tensioni avvolgevano Argentina-Inghilterra, per le ferite non ancora rimarginate della guerra delle Falkland. Maradona fu il protagonista assoluto della partita. Segnò un gol, svettando oltre il portiere Peter Shilton, e colpendo nettamente il pallone con la mano. Il tunisino Ali Bennaceur, che arbitrava, non se ne accorse e respinse le vibrate proteste degli inglesi. Sullo slancio, Maradona replicò con un gol di straordinaria fattura, uno slalom fra sei giocatori inglesi, che Diego concluse entrando in porta con il pallone al piede. Invano Lineker, tiratore scelto del Mundial, cercò di riaprire la gara. Maradona disse che era stata "la mano di Dio", gli inglesi furono accolti in patria con l'aureola di vincitori morali.

25 giugno 1986, Estadio Azteca, Ciudad de México
Patrick Vervoort, Diego Armando Maradona e Stephane Demol
Maradona replicò, con due gol contro il Belgio, ormai pago del lungo (e inatteso) cammino percorso. L'Argentina, guidata da un ottimo tecnico, Carlos Bilardo, non era una squadra eccezionale, ma il suo fuoriclasse la trasfigurava. In finale si trovò di fronte la solida Germania Ovest, che Beckenbauer aveva pilotato a fari spenti, nella fase iniziale, perché fosse in piena condizione agli appuntamenti decisivi. In semifinale, i tedeschi avevano ancora una volta battuto la Francia, come quattro anni prima. E come allora i francesi avevano giocato il calcio più brillante, ma erano stati schiacciati dalla superiorità fisica degli avversari.

Contro l'Argentina, Beckenbauer chiese al più bravo dei suoi, Lothar Matthäus, di sacrificarsi nel controllo di Maradona; il giocatore accettò senza entusiasmo (era il perno della squadra), ma con disciplina esemplare. Maradona, nell'impossibilità di agire da solista, si pose al servizio della squadra, che trovò in Jorge Valdano il suo uomo-guida. Nel cambio, alla fine, ci guadagnò l'Argentina. Quando Beckenbauer se ne accorse, la Germania Ovest era sotto di 2-0. Riuscì a rimontare, grazie a due prodezze di Rummenigge e Rudi Völler, con uno sforzo di cui Bilardo presentò subito il conto. Si profilavano ormai i tempi supplementari, e Maradona uscì dal suo forzato grigiore per un lampo, uno solo, però decisivo. Fece un lancio smarcante per Jorge Burruchaga, il quale guizzò oltre le linee tedesche e vanificò l'uscita disperata di Harald Schumacher. Era il secondo titolo mondiale dell'Argentina, ma rimase per tutti il Mondiale di Maradona.

* Tratto da I Campionati Mondiali, in Enciclopedia dello Sport, Treccani, 2002 (© Treccani)

1990 | La rivincita della Germania del 'Kaiser'

di Adalberto Bortolotti *

Sulla strada aperta dal Messico, si inserì subito l'Italia che ottenne anch'essa di organizzare per la seconda volta il Mondiale, dopo la vittoriosa e lontana esperienza del 1934. Fu Franco Carraro, commissario straordinario della Federcalcio, a dover risolvere la scomoda eredità di Bearzot alla guida della nazionale: automatica o quasi fu la designazione di Azeglio Vicini, che aveva ottenuto eccellenti risultati con l'under 21. Il nuovo commissario tecnico procedette subito a un ringiovanimento, promuovendo Walter Zenga, Paolo Maldini, Gianluca Vialli, Giuseppe Giannini, Riccardo Ferri, Roberto Donadoni, Roberto Mancini nella nazionale maggiore. Frattanto, alla presidenza federale era salito Antonio Matarrese, che assicurò al nuovo tecnico il pieno appoggio, in vista di un obiettivo imprescindibile: il quarto titolo mondiale, da conquistare nella cornice romana.

Al comando della complessa macchina organizzativa fu chiamato Luca di Montezemolo, la cui mentalità imprenditoriale si scontrò con i cronici ritardi e le anacronistiche pastoie della burocrazia. I lavori di ammodernamento e di restauro degli impianti non furono tutti impeccabili nei tempi e nelle modalità, tuttavia dal punto di vista della gestione dell'evento sportivo e del settore della comunicazione questo fu forse il miglior Campionato del Mondo di tutti i tempi.

3 luglio 1990, Stadio San Paolo, Napoli
Il "logo" delle Notti magiche italiane: gli occhi spiritati di Totò Schillaci
Con un ottimo comportamento agli Europei del 1988 (terzo posto, dietro Olanda e URSS), l'Italia di Vicini si conquistò una solida reputazione di favorita. Era una squadra brillante, ricca di talenti, con molte alternative. Dietro gli attaccanti titolari premevano Totò Schillaci e Roberto Baggio, i favoriti dei tifosi. La concorrenza non appariva formidabile. L'Argentina campione in carica esigeva rispetto, anche se Maradona non era più nella condizione fisica di quattro anni prima. Poi la solita Germania Ovest, ancora affidata a Beckenbauer, il Brasile campione del Sud America e l'Olanda campione d'Europa.

La formula fu la stessa adottata in Messico. L'Italia superò in bello stile il girone preliminare. Sin dalla partita d'esordio contro l'Austria, Schillaci si rivelò decisivo. Subentrato a Carnevale a metà del secondo tempo, mise a segno il gol della vittoria. Altri due successi contro Stati Uniti e Cecoslovacchia proiettarono gli azzurri negli ottavi di finale a punteggio pieno.

Nessuna squadra aveva destato impressione migliore. Il Brasile per la prima volta adottava il ruolo del battitore libero, in una difesa a cinque uomini, secondo il nuovo corso del tecnico Sebastião Lazaroni, attratto dai modelli europei e contestato in patria. Anche l'Inghilterra di Bobby Robson giocava un calcio assai più prudente del solito. L'Argentina, sconfitta dal Camerun nella gara inaugurale, fu salvata dall'arbitro Erik Fredriksson quando, contro l'URSS, era a un passo dall'eliminazione: Maradona esibì un altro decisivo colpo di mano, questa volta per salvare un gol certo sulla linea della propria porta. Singolare che in due edizioni consecutive, lo stesso arbitro fosse stato fatale all'URSS. Il problema degli arbitraggi discutibili stava peraltro contagiando l'intero torneo: frastornati dalle nuove norme della FIFA, diramate proprio a ridosso del Mondiale per salvaguardare gli attaccanti e favorire il gioco offensivo, i direttori di gara oscillavano fra una severità eccessiva e una tolleranza inammissibile.

Fra le 16 promosse figurarono cinque nazionali mai salite così in alto in un Campionato del Mondo: Camerun, Eire, Colombia, Romania e Costarica, guidata da Bora Milutinovic, il tecnico che quattro anni prima era stato il 'profeta' del Messico.

1 luglio 1990, Stadio San Paolo, Napoli
A 25 minuti dalla semifinale, scoppia la gioia di un continente dopo il gol di Eugene Ekeke.
Ci penserà uno dei maggiori civil servant dell'imperialismo britannico,
Gary Lineker, a fare rinviare la festa
Negli ottavi, un'Argentina dimessa riuscì a battere il Brasile. La partita fu dominata dai brasiliani, che non riuscirono però a concretizzare la loro superiorità per la sfortuna (tre pali) e l'incapacità degli attaccanti. Maradona, stremato dalla fatica, trovò il guizzo decisivo a pochi minuti dalla fine, offrendo a Claudio Paul Caniggia il pallone di una storica vittoria. Il Camerun, con una doppietta del suo centravanti Roger Milla, eliminò la Colombia, in uno scontro di matricole, mentre la Costarica terminò la sua corsa di fronte alla solida Cecoslovacchia. L'Olanda, qualificatasi quasi per caso, con molti suoi campioni fuori forma (irriconoscibile Marco Van Basten) fu battuta dalla Germania Ovest più chiaramente di quanto indicasse il punteggio di 2-1, che chiuse la sfida di Milano. Solo ai supplementari, Iugoslavia e Inghilterra vennero a capo di Spagna e Belgio. Il gol della vittoria per gli inglesi fu segnato da David Platt al 119′. All'Italia era toccato l'ostico Uruguay, che si rifugiò in una tattica di ostruzionismo, punita alla distanza dai gol di Schillaci e di Serena. Anche Baggio aveva trovato posto in prima squadra. La nazionale di Vicini, sino a quel punto, non aveva ancora subito un gol, segnandone sei.

Nei quarti continuò la buona sorte dell'Argentina, che piegò a Firenze la Iugoslavia ai calci di rigore, dopo 120 minuti chiusi sullo 0-0. Pur ridotti in dieci uomini da un'ingiusta espulsione, gli slavi avevano dominato, ma i campioni in carica riuscirono a imporsi dal dischetto, malgrado Maradona avesse fallito la trasformazione. Un gol di Schillaci consentì a un'Italia appannata di domare la resistenza dell'Eire, guidata con grande realismo tattico da Jackie Charlton. A Vicini toccava in semifinale un'Argentina arrivata sin lì più per caso che per merito.

Nell'altra parte del tabellone finivano, ancora una volta, due storiche rivali dei Campionati del Mondo, Germania Ovest e Inghilterra. Ne l'una né l'altra erano state convincenti: i tedeschi avevano avuto ragione dei cechi con un rigore di Matthäus; gli inglesi avevano addirittura sofferto contro il Camerun, vera rivelazione del torneo, raggiunto da un rigore di Lineker a 7 minuti dalla fine, e battuto, nei tempi supplementari, da un altro rigore di Lineker. L'arbitro messicano Edgardo Codesal era stato in pratica il 'giustiziere' degli africani, protagonisti coraggiosi di un movimento in impetuosa crescita.

A Napoli, il duello fra la nazionale di casa e il diletto Maradona poneva al pubblico delicati problemi: tifo diviso, anche se il patriottismo sembrava prevalere sugli spalti. Vicini lasciava fuori Baggio, protagonista nelle ultime vittorie e perfetto partner di Schillaci, per reinserire Vialli, che dopo un lieve infortunio (e un accenno di polemica) intendeva fermamente riprendersi il posto di titolare. Tutto sembrava andare ugualmente per il meglio, perché Schillaci apriva le marcature, dopo poco più di un quarto d'ora, partendo da una sospetta posizione di fuorigioco, che peraltro la terna arbitrale diretta dal francese Michel Vautrot non segnalava. Forse per rimediare, Vautrot favoriva di lì in avanti gli argentini, in particolare omettendo di espellere Ricardo Giusti, dopo aver già messo mano al cartellino. Il pareggio di Caniggia, primo gol incassato dall'Italia in tutto il Campionato, pesava sulla coscienza di Zenga e mandava in tilt l'Italia e il suo pilota. Usciva Vialli, ma al suo posto entrava Serena e non Baggio. Quest'ultimo prendeva poi il posto di Giannini. Nei supplementari era finalmente espulso Giusti, ma ormai era tardi. Ai rigori, gli errori di Donadoni e Serena davano modo a Maradona di firmare dal dischetto l'ingresso in finale di un'Argentina inadeguata, che aveva penosamente arrancato per tutto il corso del torneo.

8 luglio 1990, Stadio Olimpico, Roma
Le lacrime di Diego Armando Maradona: non solo per la sconfitta contro i tedeschi
ma anche per non essere riuscito a zittire gli hijos de puta italiani
che lo avevano fischiato in tutti gli stadi che non fossero il San Paolo
Per l'Italia era un fallimento, anche se i numeri dicevano il contrario. Superando l'Inghilterra nella 'finalina' per il terzo posto (gol di Baggio, pareggio di Platt, suggello finale di Schillaci, che diventava così tiratore scelto del Mondiale con sei centri, esattamente come Rossi in Spagna) gli azzurri chiudevano con un bilancio di sei vittorie e un pareggio. Avevano cioè conquistato, in una teorica classifica, 13 punti sui 14 disponibili. Quel solo pareggio era però costato un titolo che appariva largamente alla portata. Matarrese non perdonò Vicini, formalmente confermato, ma in seguito sostituito alla prima occasione con Arrigo Sacchi.

In finale erano dunque arrivate le stesse squadre che si erano contese il titolo allo stadio Azteca quattro anni prima: un'Argentina stremata e una Germania Ovest quadrata, ma senza genio. Nella semifinale di Torino i tedeschi avevano piegato gli inglesi con i calci di rigore, dopo che anche i supplementari si erano chiusi sull'1-1. Beckenbauer e Bilardo ancora di fronte: stesso copione, ma diverso l'epilogo. In una finale di rara bruttezza, l'Argentina pagò in un colpo solo la fortuna che l'aveva accompagnata sino a quel momento. L'ostilità del pubblico romano, che fischiò l'esecuzione dell'inno nazionale argentino, strappò a Maradona lacrime di rabbia e insulti. Lo stadio Olimpico inneggiava a Völler, l'attaccante tedesco che giocava nella Roma. L'arbitro designato fu il messicano Codesal, che pure aveva commesso ripetuti errori nel corso del torneo, segnalandosi per una serie di rigori di dubbia validità. Le due squadre, senza offrire emozioni e senza tirare quasi mai in porta, stavano andando ai tempi supplementari, quando Codesal punì con il calcio di rigore un fallo argentino a qualcuno apparso dubbio. Il terzino Andreas Brehme trasformò freddamente e Beckenbauer poté alzare una Coppa che dava alla Germania Ovest il terzo titolo mondiale, ma poco aggiungeva alla sua gloria. D'altra parte i tedeschi venivano da due finali perdute, con l'Italia nel 1982 e con l'Argentina nel 1986, e quindi lo scettro ne premiava la continuità agli altissimi livelli.

* Tratto da I Campionati Mondiali, in Enciclopedia dello Sport, Treccani, 2002 (© Treccani)

1994 | Il ritorno del Brasile

di Adalberto Bortolotti *

Dopo aver concentrato nell'arco di dodici anni, dal 1958 al 1970, i suoi tre titoli mondiali, tutti legati alla carismatica figura di Pelé, il Brasile era andato declinando. Dapprima gradualmente (quarto nel 1974 in Germania, terzo nel 1978 in Argentina), poi con un crollo più vistoso: nel 1982 in Spagna, nel 1986 in Messico e nel 1990 in Italia non si era più affacciato alla fase decisiva, pur allineando in tutte e tre le occasioni formazioni altamente competitive sotto il profilo tecnico. Nella nazionale erano riemersi i vecchi vizi, la presunzione, lo scarso senso pratico, né era valso a guarirli il passaggio da uno stratega del gioco offensivo e al limite spericolato, come Telê Santana, a un tecnico prudente e quasi 'catenacciaro' quale Sebastião Lazaroni, il teorico della difesa a cinque uomini. Il Brasile tornò a essere campione del mondo, e si vestì per la quarta volta con i colori dell'iride, nel torneo del 1994, quando ‒ capriccio della sorte ‒ presentò, nell'inedita cornice americana, una nazionale decisamente di minore qualità, e meno ricca di campioni, rispetto a quelle che avevano fallito i più recenti assalti.

17 giugno 1994, Soldier Field, Chicago
Diana Ross inaugura la 1994 FIFA World Cup
Sin dal 4 luglio 1988 la FIFA aveva ratificato l'assegnazione del Mondiale del 1994 agli Stati Uniti che ancora non l'avevano mai ospitato. La conquista di un pianeta rimasto ancora per lo più inesplorato sembrava davvero il modo migliore per celebrare il novantesimo anniversario della Confederazione mondiale, che aveva appunto visto la luce nel maggio del 1904. Gli Stati Uniti non potevano essere considerati un paese calcistico, anzi il soccer risultava piuttosto estraneo alla loro cultura sportiva, pur se molto praticato in ambito giovanile e scolastico. Ma per uno spettacolo che si proclamava (dati alla mano) il più grande del mondo, il proscenio americano era una meta obbligata. In pratica, era il 'matrimonio' più fastoso della storia moderna fra sport e affari, in attesa di aprire, nell'ormai prossimo terzo millennio, ai mercati emergenti dell'Estremo Oriente e dell'Africa.

L'evento si accompagnò all'introduzione di nuove regole, ben tarate sulla mentalità americana, che non concepisce il pareggio, esige un vincitore e chiede emozioni forti. La novità più importante riguardò i tre punti assegnati alla vittoria, contro il solo punto riservato al pareggio: con questo sistema, già adottato in molti tornei nazionali, si intendevano eliminare le 'alchimie' dei gironi preliminari, dove spesso il calcolo prendeva aggio sull'agonismo. Purtroppo, l'altra faccia della medaglia fu che la spettacolarità, e soprattutto l'aspetto televisivo, schiacciò le vere esigenze sportive. Poiché l'audience contava più della salute dell'atleta e del livello tecnico delle partite, si giocò spesso sotto l'impietoso sole di mezzogiorno, un vero attentato alla regolarità del gioco.

Le qualificazioni richiesero dolorosi sacrifici: fra le 24 finaliste mancavano nazionali storiche, come quelle di Uruguay, Inghilterra, Francia, nonché la Danimarca campione d'Europa in carica. In compenso, numerose erano le individualità di spicco: da Roberto Baggio, Pallone d'oro 1993, al suo omologo sudamericano, il colombiano Carlos Valderrama, per arrivare ai due più forti centravanti del momento, il brasiliano Faria Romário e l'argentino Gabriel Batistuta. Nell'Argentina, però, l'autentica attrazione era costituita dal ritorno di Maradona. Caduto nel vortice della droga, aveva conosciuto anche la vergogna del carcere, prima di essere avviato a un programma di riabilitazione. Al calcio era sicuramente mancato un personaggio del suo fascino: quella che sembrava la miracolosa rinascita di un campione si trasformò però in un'altra, dolorosa caduta.

Due squadre erano attese con particolare interesse, per il calcio nuovo predicato dai loro tecnici: l'Italia di Arrigo Sacchi e la Colombia di Francisco Maturana. Le ultime edizioni avevano visto un livello di gioco un po' più basso, sotto il profilo tattico. Sia l'Argentina di Bilardo sia la Germania di Beckenbauer adottavano il libero fisso e una folta copertura difensiva. Italia e Colombia giocavano la zona pura, senza alcun adattamento, e promettevano lo spettacolo prima del risultato. L'Italia debuttò contro l'Eire e fu una delusione cocente. Gli irlandesi, arroccati secondo lo stile di Jackie Charlton, si imposero per 1-0. Sugli azzurri si scatenarono polemiche furiose. Nel successivo match, contro la Norvegia, l'Italia rimase presto in dieci uomini, per l'espulsione del portiere Gianluca Pagliuca. Per riequilibrare tatticamente la squadra, Sacchi tolse dal campo il campione più rappresentativo e più amato, Baggio, e gli azzurri, benché inferiori numericamente, riuscirono a vincere grazie a una strepitosa partita di Beppe Signori e a tornare in corsa. Ma gli stenti non erano finiti: il pareggio contro il modesto Messico fece terminare le quattro squadre del girone alla pari. Il computo delle reti assegnò al Messico il primo posto, all'Eire il secondo. L'Italia, terza, venne 'ripescata': 16 squadre dovevano passare al turno successivo, e l'Italia fu appunto la sedicesima. Per il rotto della cuffia, l'avventura continuava.

21 giugno 1994, Foxboro Stadium, Boston
Sì, ancora un capolavoro di Diego Armando: l'ultimo in un Mondiale
La Colombia, eliminata al primo turno per le sconfitte subite contro Romania e Stati Uniti (questi ultimi guidati da Bora Milutinovic), deluse così profondamente le attese dei tifosi che al suo ritorno a casa vi furono reazioni di violenza criminale con conseguenze drammatiche: il difensore Andres Escobar, che aveva provocato uno sfortunato autogol contro gli USA, venne trucidato a colpi di mitraglietta mentre usciva da un ristorante. Sul Mondiale americano, sia pure in via indiretta, pesa ancora quella macchia.

L'Argentina cominciò in modo trionfale, travolgendo la Grecia con tre gol di Batistuta e uno stupendo 'assolo' di Maradona che pareva miracolosamente risorto. Battuta anche la Nigeria, e prima dell'accademico match con la Bulgaria, l'Argentina venne gelata dalla notizia che Maradona era stato trovato positivo al controllo antidoping. Per evitare punizioni alla squadra, la Federazione argentina sospese il giocatore e lo ritirò dalla competizione. Restò il sospetto che il fuoriclasse, di cui tutti conoscevano la situazione, fosse stato usato senza troppi scrupoli per aumentare il richiamo del torneo e poi abbandonato a se stesso una volta raggiunto lo scopo.

Nella fase a eliminazione diretta, l'Italia raggiunse improvvisamente una forma perfetta. O meglio, fu Baggio a trovare una condizione strepitosa e a trascinare la squadra. Negli ottavi, contro una Nigeria che aveva condotto in vantaggio tutta la partita, Baggio inventò il gol del pareggio e nei tempi supplementari trasformò il rigore decisivo. Nei quarti ancora una sua prodezza a 3 minuti dalla fine spezzò l'equilibrio con la Spagna. In semifinale, fu una sua fulminea doppietta a battere la Bulgaria, che si era fatta strada sin lì con grande lucidità tattica e con i guizzi del lunatico fuoriclasse Hristo Stoichkov. In quel primo tempo contro i bulgari, Baggio aveva toccato il punto più alto della sua parabola. A 20 minuti dalla fine, però, era stato costretto a lasciare il campo, vittima di un serio infortunio che ne metteva a rischio il ricupero per la finale, la quinta raggiunta dall'Italia nella storia dei Mondiali.

Alla finale era arrivato anche il Brasile, che dopo aver vinto in modo autorevole il girone preliminare, aveva incontrato notevoli difficoltà negli ottavi contro i padroni di casa. Gli USA, tatticamente ben disposti da Milutinovic, erano riusciti a chiudere tutti gli spazi. Solo nei minuti finali, un gol di José Bebeto consentì al Brasile di saltare l'ostacolo. Ancora più arduo si rivelò il quarto di finale contro l'Olanda: 2-0 per il Brasile, con i puntualissimi attaccanti Bebeto e Romário, impetuosa rimonta olandese sino al 2-2. Fu un calcio di punizione da 30 metri del terzino Claudio Branco a chiudere il conto. Branco aveva trovato posto in squadra per la squalifica del titolare Leonardo. Era un Brasile anziano negli uomini chiave, non sempre brillante, però ben organizzato, con due leader a centrocampo, Carlos Dunga e Mauro Silva, e due uomini velocissimi in attacco, Romário e Bebeto. Gli altri giocatori non erano fenomenali. In semifinale, il Brasile incrociò la Svezia, la squadra rivelazione, che nel turno precedente aveva vinto ai rigori sulla Romania dopo un'emozionante altalena di vantaggi (la Romania aveva in precedenza battuto l'Argentina, traumatizzata dal caso Maradona). Romário, all'80′, chiuse il conto, dopo non poche ambasce.

17 luglio 1994, Rose Bowl, Pasadena
Il rigore di Demetrio Albertini
Brasile-Italia riproponeva la finale di Messico 1970, ma gli azzurri vi si accostavano con maggiori chances di vittoria. Dimenticato ormai lo stentato avvio (che si era verificato, d'altra parte, anche nel vittorioso Mundial spagnolo del 1982), l'Italia di Sacchi pareva matura per la grande conquista. Nell'occasione, il commissario tecnico azzurro recuperò Franco Baresi, il 'regista' della difesa, operato di menisco appena venti giorni prima, e schierò anche Baggio, dopo molte esitazioni. Beppe Signori sarebbe stato un sostituto più che degno, ma non sembrava giusto negare la gioia della finale al campione che più di ogni altro si era prodigato per conquistarla. Entrambe le squadre si schierarono con quattro difensori in linea, quattro centrocampisti e due attaccanti. Al Rose Bowl di Pasadena, davanti a 93.000 spettatori, la partita iniziò a mezzogiorno e mezzo, in condizioni climatiche micidiali: 36° di temperatura, tasso di umidità al 70%. Il caldo, il timore reciproco, il modulo tattico speculare, la stanchezza accumulata nel corso del torneo, furono tutti fattori che contribuirono a rendere la partita povera di emozioni. Il Brasile attaccò di più, l'Italia (con Baggio inesistente) si limitò ad assistere. L'unico brivido fu un palo colpito da Mauro Silva con un forte tiro da lontano. I tempi supplementari furono un inutile martirio per atleti ormai allo stremo delle forze. Sbagliò una facile occasione Romário, ebbe una palla propizia Baggio, ma la calciò fiaccamente fra le braccia di Claudio Taffarel. La decisione fu affidata ai calci di rigore. Baresi inaugurò la serie, tirando oltre la traversa. Sbagliò anche Daniele Massaro. L'ultimo errore fu di Baggio, che concluse il suo strepitoso Mondiale nella maniera peggiore. Seppure non entusiasmante, la vittoria del Brasile risultò legittima, alla luce della finale. All'Italia rimase il consueto strascico di rimpianti e di polemiche.

* Tratto da I Campionati Mondiali, in Enciclopedia dello Sport, Treccani, 2002 (© Treccani)

1998 | Zidane profeta in patria

di Adalberto Bortolotti *

Sulla strada aperta da Messico e Italia, anche la Francia ottenne la sua seconda organizzazione mondiale, a sessant'anni di distanza da quella del 1938. L'ultima edizione del secolo chiudeva ufficialmente il criterio dell'alternanza fra Europa e America: nel 2002 il Mondiale sarebbe entrato in un nuovo continente, l'Asia, con la partnership fra Giappone e Sud Corea. Non si attese però il 2000 per inaugurare l'allargamento delle squadre finaliste, da 24 a 32, secondo un processo di 'gigantismo' inarrestabile. Aumentò anche il numero delle nazioni detentrici del titolo: il successo della squadra di casa, evento che non si verificava da vent'anni (Argentina 1978), consentì alla Francia di unirsi a Brasile, Italia, Germania, Argentina, Uruguay, Inghilterra.

Quella della Francia fu una vittoria multietnica: soltanto otto dei ventidue componenti la rosa della nazionale erano francesi puri. Nelle vene degli altri scorreva sangue algerino, armeno, basco, portoghese e dei territori d'oltremare. Eppure, proprio l'esemplare spirito di squadra, l'armonia del collettivo, furono le armi decisive di una nazionale che arrivò al traguardo tra molte difficoltà, ma con il merito di aver sempre privilegiato la strada maestra del gioco sulle alchimie tattiche e i calcoli opportunistici.

Tecnicamente non fu un torneo esaltante, anche se caratterizzato da grandi individualità, non tutte pari alle aspettative: da Ronaldo, l'astro emergente, a Matthäus al suo quinto Mondiale in campo, da David Beckam a Raúl, da Alessandro Del Piero a Batistuta, da Juan Sebastian Verón a Rivaldo, da Zinedine Zidane a Zvonimir Boban, da Marcelo Salas a Davor Suker, da Dejan Savicevic a Baggio, da Gheorghe Hagi a José Luís Chilavert, il portiere goleador del Paraguay.

Erano occorsi due anni, 649 partite e 1922 gol per ridurre a 30 (le altre due partecipanti erano qualificate di diritto, Brasile come campione in carica, Francia quale paese organizzatore) le 172 nazioni iscritte al Mondiale di fine secolo. Debuttanti assolute alla fase finale risultarono le nazionali di Giamaica, Sudafrica, Croazia e Giappone.

Gli otto gironi preliminari, ciascuno composto da quattro squadre, selezionarono le sedici superstiti senza i complicati ripescaggi delle ultime edizioni. La vittima eccellente di questa fase iniziale fu la Spagna, molto accreditata alla vigilia, incapace di rimediare alla sconfitta inaugurale a opera della Nigeria, sulla cui panchina sedeva Milutinovic. Licenziato dal Messico nel corso delle qualificazioni, il tecnico serbo era stato ingaggiato al volo dall'emergente squadra africana. Tornò subito a casa, ma ugualmente felice, l'Iran che in una partita dai forti significati politici (e temutissima dai servizi di sicurezza) era riuscito a sconfiggere gli Stati Uniti: peraltro, gli atleti in campo e i rispettivi sostenitori sugli spalti avevano presto fraternizzato, scrivendo una bellissima pagina di sport. Ben diverso lo spettacolo offerto dagli hooligans inglesi e dagli ultras neonazisti tedeschi, protagonisti di cruente violenze in varie città, con aggressioni alle forze dell'ordine.

L'Italia, passata dal calcio futuribile di Sacchi a quello molto più prosaico di Cesare Maldini, presentò una squadra dalla difesa quasi impenetrabile, ma poco propensa ad assumere l'iniziativa del gioco. Del Piero, che doveva essere l'uomo guida, non aveva perfettamente recuperato dopo un lungo infortunio. Sollecitato dal pubblico e dalla critica, Maldini era stato indotto a convocare Roberto Baggio, al suo terzo Mondiale, riservandogli però un ruolo di rincalzo. Eppure proprio Baggio fu decisivo nella prima partita, contro il Cile, pareggiata su rigore a cinque minuti dalla fine. La grande forma del centravanti Christian Vieri, che segnò in tutte le partite del girone per complessivi quattro gol, e la modestia degli avversari consentirono comunque agli azzurri di conquistare il primo posto del raggruppamento con largo margine di vantaggio sullo stesso Cile.

Francia e Argentina, tre vittorie su tre, furono le protagoniste più brillanti di questa prima fase, mentre il Brasile dovette assorbire, senza conseguenze immediate, una brusca e inattesa sconfitta a opera della Norvegia. L'Italia incontrò proprio la Norvegia negli ottavi di finale. Maldini aveva rilanciato Del Piero, sacrificando Baggio. Il gol di Vieri, puntuale e sollecito, fu difeso con successo sino in fondo. Ma il gioco degli azzurri destava ampie perplessità, inadeguato com'era al potenziale tecnico della squadra. Del Piero sbagliò almeno tre facili occasioni da gol, un gruppo di spettatori italiani contestò Maldini, imputandogli il mancato impiego di Baggio, rimasto in panchina per tutti i novanta minuti.


Incredibilmente sofferto fu l'impegno della Francia contro il Paraguay. Novanta minuti sullo 0-0 e tempi supplementari all'insegna dell'ultima novità, il 'golden gol', ovvero 'chi segna per primo vince'. Toccò a Laurent Blanc, il libero francese, di inaugurare l'inedita formula e realizzare la rete risolutrice, quando già si annunciava la soluzione ai calci di rigore. Ai rigori si impose invece l'Argentina sull'Inghilterra, in un match alterno e spettacolare, compromesso per gli inglesi dall'espulsione di David Beckam, dopo che Mark Owen, il diciottenne attaccante del Liverpool, si era conquistato la ribalta segnando un memorabile gol in velocità.

Con un gol di Suker, il 'braccio' della Croazia (la 'mente' era Boban), i croati eliminarono la Romania, mentre i loro rivali iugoslavi, più accreditati, venivano rispediti a casa dall'Olanda. Il Brasile, con un Ronaldo in grande forma, prevaleva sul Cile, mentre la Germania rimontava solo nel finale sul Messico. Di grande curiosità era oggetto la Nigeria, dal gioco indisciplinato ma a tratti travolgente. L'assenza del portiere titolare fu però fatale agli africani contro la quadrata Danimarca, che impartì loro una severa lezione. Alla resa dei conti, erano rimaste in lizza solo le scuole tradizionali: due nazionali sudamericane, Brasile e Argentina, contro sei europee.

L'Italia affrontò nei quarti i padroni di casa, proprio come nei Mondiali francesi di sessant'anni prima. L'esito fu diverso. Maldini ripropose Del Piero, stanco e non in forma, e armò una partita di puro contenimento. La Francia, che aveva un'eccellente difesa, grandi centrocampisti, ma non straordinari attaccanti, tenne l'iniziativa del gioco, ma non riuscì a 'sfondare'. A un quarto d'ora dalla fine Baggio rilevò Del Piero. E fu proprio Baggio, nei tempi supplementari, a sfiorare il gol della qualificazione facendo acuire i rimpianti per il suo impiego 'a piccole dosi'. Non essendoci stato il 'golden gol' la partita fu risolta ai calci di rigore. I francesi commisero un solo errore (Bixente Lizarazu), gli italiani due (Demetrio Albertini e quello decisivo di Luigi Di Biagio). Così l'Italia tornava a casa. Sfortuna, certo, ma anche cattiva gestione tattica, con un eccesso di 'difensivismo' che era costato, oltre all'eliminazione, numerose critiche.

Il Brasile, con una doppietta di Rivaldo, venne avventurosamente a capo della Danimarca, mentre la Germania espiava tutta la sua precedente fortuna contro la Croazia, che la spazzava via per 3-0. La partita migliore fu quella che vide l'Olanda, forse depositaria del gioco più piacevole, piegare l'Argentina con una rete di Dennis Bergkamp al 90′. A parte la disfatta dei tedeschi, le altre tre gare avevano visto un equilibrio diffuso e si sarebbero potute concludere con l'esito opposto. Fu questa, in fondo, la caratteristica di un Mondiale dai valori ravvicinati.

La Croazia, una vera rivelazione, creò non poche difficoltà anche alla Francia, in semifinale. Passata in vantaggio con Suker, fu rimontata da una irrituale doppietta di Thuram, difensore di classe eccelsa, però tutt'altro che facile al gol. Del resto, gli attaccanti francesi si liberavano raramente al tiro e svolgevano piuttosto una funzione gregaria, aprendo spazi per gli inserimenti di terzini e mediani. Nell'altra semifinale, il Brasile visse a lungo di rendita sul gol di Ronaldo, per poi essere raggiunto agli sgoccioli della gara dal guizzo dell'olandese Patrick Kluivert. Si arrivò ai rigori, e i brasiliani furono infallibili.


La finale tra Francia e Brasile ebbe un prologo un po' misterioso. Ronaldo non doveva giocare. Il suo nome non figurava nella formazione ufficiale diramata tre quarti d'ora prima del fischio d'inizio. Colto da un attacco di convulsioni, conseguenza dell'eccessivo stress, il campione era stato trasportato d'urgenza in ospedale. Dimesso, fu rispedito di corsa allo stadio e mandato in campo. La grande stella non poteva mancare all'ultima recita. Lo voleva il business, lo esigevano gli sponsor. Ronaldo si mosse come un'ombra, in quella finale. Non ci fu mai seriamente partita. Il Brasile era teso e smarrito, cercava invano l'azione individuale dei suoi 'solisti', la sola arma che potesse salvarlo dalla superiore organizzazione dei francesi. Nel giorno della defaillance di Ronaldo, Zidane, l'erede di Platini, era invece in forma smagliante. Una sua doppietta, di testa, tolse ogni incertezza al match. Un altro centrocampista, Emmanuel Petit, chiuse il conto. La Francia fu una vincitrice degna, ma anomala. Fu la prima volta, nella storia di 16 Mondiali, che si impose una squadra priva di un grande attaccante. Fu anche la prima volta che il Mondiale fu 'vinto' da due squadre: la Croazia, salita sul podio a spese dell'Olanda, festeggiò il suo terzo posto come se fosse una vittoria.


* Tratto da I Campionati Mondiali, in Enciclopedia dello Sport, Treccani, 2002 (© Treccani)

2002 | La quinta volta del Brasile

di Adalberto Bortolotti *

Era il primo Mondiale del nuovo secolo, il primo giocato in Asia, spezzando la tradizionale alternanza continentale Europa-America, il primo ospitato in due paesi consorziati nell'organizzazione, Giappone e Corea del Sud, nella scia della formula sperimentata con successo agli Europei 2000. Attorno all'evento, che prevedeva la più alta audience della storia, 40 miliardi di telespettatori per un mese di competizione, con 200 paesi collegati, si sviluppava la speranza di una nuova frontiera del pallone, la celebrazione della sua raggiunta universalità, nella culla della sofisticata tecnologia nippo-coreana. Invece ci si è trovati ricacciati indietro di quarant'anni esatti, ai veleni, alle polemiche, alle combine di Cile '62, il Mondiale a più bassa credibilità, per gli sfacciati favoritismi alla squadra di casa. Nel 2002 le squadre di casa erano due, ma soltanto la Corea ha sfruttato in modo spregiudicato il proprio ruolo privilegiato, grazie all'inerzia, se non proprio alla complice benevolenza, della FIFA. Arbitraggi ai limiti dello scandalo le hanno consentito di eliminare in rapida successione tre referenziate rappresentanti del calcio latino, quali Portogallo, Italia e Spagna. Nel frattempo, la velleitaria pretesa (giustificata da calcoli elettorali) di usare arbitri e assistenti di ogni paese, a prescindere dalla loro preparazione e dalla loro esperienza internazionale, ha dato vita a errori inammissibili in un torneo a così elevato livello. Si è temuto il crollo, anche perché altre protagoniste annunciate, quali la Francia campione in carica e l'Argentina, erano uscite di scena per conto proprio. Poi, la tempesta si è placata. Nella fase decisiva sono stati mandati in campo gli arbitri più affidabili, la Corea si è ritenuta paga di aver raggiunto lo storico traguardo della semifinale e la finale inedita fra le due più titolate potenze calcistiche, Brasile e Germania (curiosamente mai incrociatesi nelle precedenti edizioni), ha steso un velo pietoso sui tanti misfatti tecnici del torneo. Il Brasile, poco considerato alla vigilia, ha vinto il suo quinto titolo, dopo sette successi su altrettanti incontri, incoronando re del gol il ritrovato Ronaldo, che quattro anni prima aveva cominciato proprio dalla finale di Francia '98 il suo lungo calvario di infortuni, facendo temere un precoce addio al calcio. La Germania, più solida che creativa, si è dimostrata una degna rivale e la Turchia, terza a sorpresa, ha rappresentato la vera rivelazione, al pari del Senegal, una debuttante in grado di arrivare sino ai quarti di finale, grazie a un calcio spensierato e spettacolare. All'Italia resta l'amara sensazione di un'ingiustizia subita, ma anche la consapevolezza di avervi aggiunto propri demeriti, nel determinare la prematura uscita di scena.

Superando ogni precedente record, il 98% delle Federazioni calcistiche nazionali affiliate alla FIFA, 199 su 204, si sono iscritte alla Coppa del Mondo 2002. Tre si sono successivamente ritirate, mentre Francia, quale detentrice del titolo, Giappone e Corea del Sud, come paesi organizzatori, sono state ammesse di diritto alla fase finale, riservata a 32 squadre. Le partite di qualificazione hanno così visto impegnate 193 nazionali, per complessive 777 partite, alle quali hanno assistito, negli stadi, 17 milioni di spettatori. Il record di affluenza si è registrato a Teheran dove, il 24 agosto 2001, 120.000 persone hanno presenziato a Iran-Arabia Saudita, valevole per il raggruppamento asiatico. I gol realizzati sono stati, in tutto, 2452, oltre tre a gara. A tenere alta la media ha provveduto, più di ogni altro, il raggruppamento oceanico, che ha fatto registrare una media di oltre sette gol a partita.

Sotto il profilo tecnico, va rilevato che sono approdate alla fase finale tutte le nazionali vincitrici di una o più edizioni precedenti: Brasile, Italia, Germania, Uruguay, Argentina, Inghilterra e Francia. Quattro nazionali hanno conquistato per la prima volta il diritto a disputare la fase finale di un Campionato del Mondo: Slovenia, Ecuador, Senegal e Cina. Quest'ultima ha sicuramente rappresentato la novità più importante, dal momento che il suo ingresso nel calcio d'élite ha aperto nuovi scenari, non soltanto sportivi, ma anche sociali e commerciali, a tutto il movimento. L'impresa della Cina ha riportato alla ribalta il tecnico serbo Bora Milutinovic, che alla guida della nazionale asiatica ha disputato il suo quinto consecutivo Campionato del Mondo, sempre sulla panchina di una squadra diversa, un record difficilmente superabile.

Fra le vittime illustri della fase di qualificazione va citata in primo luogo l'Olanda, seconda in due edizioni consecutive del Mondiale (1974 e 1978) e brillante protagonista dei Campionati Europei 2000. Hanno destato sorpresa anche le eliminazioni della Repubblica Ceca e della Colombia, formazioni molto quotate e che figuravano nella parte alta del ranking della FIFA. L'Uruguay è stata l'ultima squadra a ottenere l'ingresso fra le 32 finaliste: quinta classificata nel girone sudamericano, ha dovuto affrontare uno spareggio supplementare con la vincitrice del gruppo oceanico, cioè l'Australia; sconfitto per 1-0 a Melbourne, l'Uruguay si è imposto per 3-0 nell'incontro di ritorno di Montevideo. L'eliminazione dell'Australia ha impedito al Mondiale 2002 di vantare una partecipazione autenticamente universale: alla fase finale, infatti, sono stati rappresentati quattro continenti su cinque.

Normalmente destinata a scremare il gruppo delle finaliste dalle presenze meno significative, la prima fase è invece risultata sconvolgente, determinando l'immediata eliminazione delle due nazionali che accentravano su di sé il compatto favore dei pronostici. La Francia, campione uscente, priva del suo uomo faro, Zidane, nel match inaugurale è stata sconfitta clamorosamente dalla matricola Senegal, i cui giocatori ‒ ironia della sorte ‒ militano tutti nel Campionato francese. Forse condizionata da quell'avvio fallimentare, la Francia non è riuscita ad andare oltre il pareggio contro l'Uruguay, scontando anche l'inferiorità numerica determinata dall'espulsione di Henry, e ha dovuto così giocarsi le scarse possibilità di sopravvivenza nella terza partita contro la Danimarca. Neppure l'affrettato ricupero di Zidane, in precarie condizioni fisiche, ha salvato i campioni da una nuova, bruciante sconfitta, che li ha costretti a lasciare la scena senza aver vinto una sola gara, né realizzato un solo gol. In un girone che pareva scontato a favore di Francia e Uruguay, erano invece Danimarca e Senegal a ottenere una sorprendente, ma meritatissima promozione. L'altra grande favorita, l'Argentina, inserita nel girone più impegnativo, ha cominciato bene, superando la Nigeria con un gol di Batistuta. Da quel momento, però, la situazione è precipitata. Battuta in un ruvido match dall'Inghilterra, grazie a un calcio di rigore decretato dall'arbitro italiano Collina e realizzato da Beckham, l'Argentina ha ceduto anche alla Svezia, maestra di difesa e contropiede. Svezia e Inghilterra si sono così assicurate il passaggio agli ottavi di finale.

I responsabili tecnici delle due grandi eliminate, Lemerre e Bielsa, sono stati investiti da una tempesta di polemiche. In effetti, notevoli errori nella strategia di gioco e nella scelta degli uomini hanno contribuito a determinare un verdetto assolutamente inatteso e che ha privato il prosieguo del torneo di due protagoniste annunciate. La maledizione del pronostico favorevole ha sfiorato anche l'Italia, terza nelle considerazioni della vigilia. Una doppietta di Vieri ha proiettato gli azzurri oltre l'ostacolo dell'Ecuador nel match d'apertura, lasciando presagire un agevole cammino verso il primato del girone. Ancora Vieri, con un poderoso colpo di testa, portava in vantaggio l'Italia contro la Croazia, dopo che un'errata segnalazione del guardalinee danese Larsen aveva provocato l'annullamento di una rete, perfettamente valida, dello stesso Vieri. A quel punto la difesa italiana, che aveva perduto il suo perno centrale, Nesta, si faceva sorprendere due volte dai croati. Il pareggio, realizzato in extremis, era ancora annullato dall'intervento di Larsen, che ravvisava un inesistente fallo dell'attaccante italiano Inzaghi nell'area croata. La sconfitta accendeva violente contestazioni contro la terna arbitrale, chiaramente non all'altezza del compito, ma anche contro le scelte del commissario tecnico italiano Trapattoni. Con il Messico, che aveva vinto i primi due incontri, l'Italia si giocava il suo destino. Ancora una svista arbitrale cancellava un gol regolare di Inzaghi che avrebbe portato l'Italia in vantaggio. Era invece il Messico a segnare e a quel punto l'Italia perdeva il filo del gioco, rischiando ripetutamente una seconda capitolazione. Un gol di Del Piero, subentrato nel finale a un Totti poco ispirato, ristabiliva la parità. Contemporaneamente la Croazia cedeva inaspettatamente all'Ecuador, consentendo all'Italia di raggiungere il secondo posto del girone, alle spalle del Messico.

Se il percorso delle favorite era risultato così accidentato, in compenso le due nazionali ospitanti, Giappone e Corea, avevano camminato sul velluto. Le due nazionali asiatiche vincevano i rispettivi raggruppamenti, raggiungendo gli ottavi di finale per la prima volta nella loro storia calcistica. Un risultato sorprendente solo in apparenza: lo sfruttamento delle particolari condizioni ambientali, il compatto appoggio del pubblico, arbitraggi compiacenti e gli indiscutibili progressi tecnici, sotto la guida di eccellenti tecnici stranieri (l'olandese Hiddink per la Corea, il francese Troussier per il Giappone) spiegavano l'exploit. Nel girone della Corea, la vittima illustre era il Portogallo, cui non bastavano le 'stelle' Luis Figo e Rui Costa, né i gol del centravanti Pauleta, per superare lo shock dell'iniziale sconfitta da parte degli Stati Uniti, che seguivano così i coreani negli ottavi di finale. Alle spalle del Giappone si piazzava il Belgio, mentre l'eliminazione della Russia provocava a Mosca violenti disordini, con vittime, fra gli spettatori che avevano seguito le partite dai maxischermi montati nella Piazza Rossa.

Due sole squadre terminavano il girone a pieno punteggio: la Spagna, che batteva in successione Slovenia, Paraguay e Sudafrica, e il Brasile, che domava la Turchia solo con l'aiuto di un calcio di rigore inesistente, ma poi travolgeva sotto una valanga di gol Cina e CostaRica. La Cina chiudeva mestamente la sua prima apparizione mondiale con tre sconfitte, nove gol subiti, zero realizzati. Neppure il tecnico Bora Milutinovic aveva potuto fare miracoli, alle prese con giocatori modesti, tecnicamente e tatticamente acerbi. Ancora peggiore risultava il bilancio dell'Arabia Saudita, che perdeva tutte le partite, non segnava neppure un gol e ne incassava ben dodici, otto dei quali a opera della Germania, nella quale si rivelava Miroslav Klose, ex ginnasta, polacco d'origine, cannoniere della prima fase con cinque reti, tutte di testa, festeggiate con acrobatici e spettacolari salti mortali.

In conclusione, agli ottavi di finale approdavano nove squadre europee (Spagna, Germania, Danimarca, Svezia, Inghilterra, Irlanda, Belgio, Italia, Turchia), due sudamericane (Brasile, Paraguay), due dell'America Centrale e Settentrionale (Messico e Stati Uniti), due asiatiche (Giappone e Corea del Sud) e una sola africana, forse la meno attesa, il Senegal, mentre cadevano le più referenziate Nigeria, Camerun, Sudafrica e Tunisia. Ma ovviamente erano le bocciature di Francia, Argentina e Portogallo a costituire la sensazione dei primi 15 giorni del Mondiale.

Gli ottavi di finale parevano orientati a ripristinare le gerarchie tradizionali, dopo gli sconvolgenti verdetti dei gironi preliminari. Le prime due partite vedevano infatti Germania e Inghilterra superare gli ostacoli di Paraguay e Danimarca. I tedeschi, dopo aver non poco faticato, agli sgoccioli del match riuscivano a imporsi con un bellissimo gol di Neuville. Finiva l'avventura per l'italiano Cesare Maldini, che dopo aver guidato gli azzurri nei Mondiali del 1998 in Francia, sedeva sulla panchina del Paraguay. Più rotondo nel punteggio il successo dell'Inghilterra, ai danni di una Danimarca tradita dalle ripetute sviste del portiere. Le sorprese erano però di nuovo dietro l'angolo. L'incredibile Senegal veniva a capo della Svezia, al termine di una splendida ed equilibrata partita, che opponeva le rigorose geometrie del gioco scandinavo alla prorompente fantasia degli africani. I tempi supplementari, dopo l'1-1 al termine dei novanta minuti, registravano prima un palo della Svezia, poi il 'golden-gol' del senegalese Camara. Il Senegal approdava così ai quarti di finale, impresa riuscita solo a un'altra squadra africana (il Camerun, nel 1990). Il Leit-motiv del torneo, però, era costituito dagli errori arbitrali. Ne venivano penalizzati il Messico, cui non era concesso un vistoso calcio di rigore contro gli Stati Uniti, poi impostisi per 2-0, e soprattutto il Belgio che contro il Brasile andava in rete con un perfetto e regolarissimo gol di testa del proprio cannoniere Vilmots, ma si vedeva inspiegabilmente annullare il punto dall'arbitro giamaicano. Così graziato, il Brasile nella ripresa conquistava la vittoria grazie ai puntualissimi gol della sua coppia di fenomeni, Rivaldo e Ronaldo. La Spagna domava l'Irlanda soltanto ai calci di rigore, dopo 120 minuti di gioco chiusi sull'1-1. Restavano le due squadre di casa. Il Giappone affrontava la Turchia sotto la pioggia battente e con il netto favore del pronostico. L'impeccabile arbitraggio dell'italiano Collina non gli concedeva però vantaggi, sicché la solida e concreta Turchia metteva a segno un gol in apertura di gioco e lo difendeva senza eccessivi patemi sino al termine. Ben diverso copione seguiva la partita fra Corea del Sud e Italia. Il giovane e inesperto arbitro ecuadoriano Moreno sin dall'inizio dirigeva a senso unico, concedendo subito ai coreani un calcio di rigore, peraltro sventato dal portiere italiano Buffon. Era poi l'Italia a portarsi in vantaggio, con Vieri che firmava di testa il quarto bersaglio personale. Ammonizioni ed errate segnalazioni di fuorigioco fermavano tuttavia la squadra azzurra alla ricerca del raddoppio. Il pareggio dei coreani a due minuti dalla fine portava ai tempi supplementari, anche perché allo scadere Vieri mancava clamorosamente il gol a due passi dalla porta avversaria. Nei minuti di proroga, Totti finiva a terra in area coreana, ma l'arbitro lo puniva per simulazione, espellendolo dalla partita. In dieci uomini l'Italia andava in gol con Tommasi, ma il punto che sarebbe stato decisivo era annullato per inesistente fuorigioco. Così, dopo 116 minuti, toccava ad Ahn, giocatore in forza al Perugia nel Campionato italiano, mettere a segno il 'golden gol' che escludeva dal Mondiale la terza favorita (dopo Francia e Argentina) e che regalava alla Corea un successo storico. L'impresa riportava alla mente quella dei coreani del nord, che nel 1966 avevano eliminato l'Italia dai Mondiali d'Inghilterra. Le otto squadre superstiti erano così ripartite: quattro europee (Germania, Inghilterra, Spagna, Turchia) una sudamericana, Brasile, una nordamericana, Stati Uniti, una africana, Senegal, una asiatica, Corea. Per tre di esse, Senegal, Corea e Turchia, era il miglior risultato mai raggiunto in un Campionato del Mondo. 

Brasile contro Inghilterra era l'incontro di maggior fascino dei quarti di finale. L'Inghilterra, disposta da Eriksson in un modulo di grande prudenza, passava in vantaggio grazie a un contropiede di Owen, il 'Pallone d'oro' del calcio europeo. Il Brasile, superiore nel gioco, raggiungeva il pareggio alla fine del primo tempo con uno spettacolare gol di Rivaldo e passava in vantaggio in apertura di ripresa, con uno strano calcio piazzato di Ronaldinho che sorprendeva l'esperto portiere Seaman. Poco dopo, lo stesso Ronaldinho veniva espulso e l'inferiorità numerica consigliava al Brasile di controllare il gioco, in ciò agevolato dall'Inghilterra che non sapeva proporre una reazione efficace. Con molta fatica, e qualche benevola interpretazione arbitrale, la Germania riusciva a domare lo slancio degli Stati Uniti, una delle squadre rivelazione del torneo. Bellissima la partita fra due outsiders, Senegal e Turchia, risolta con il 'golden gol' dei turchi, che fermavano così la marcia degli africani e raggiungevano la semifinale per la prima volta nella loro storia calcistica. Nuovo scandalo per la Corea del Sud, che eliminava anche la Spagna, cui venivano annullati due gol validissimi da parte dell'arbitro egiziano. Chiusi anche i tempi supplementari sullo 0-0, la decisione era affidata ai calci di rigore e dal dischetto i coreani si dimostravano infallibili, mettendo a segno tutti e cinque i tiri. La Spagna seguiva l'Italia sulla strada della protesta, mentre l'ingresso di una squadra asiatica fra le prime quattro del Mondiale, evento rivoluzionario, accendeva ancora di più l'entusiasmo del popolo coreano. I continui aiuti ricevuti dalla squadra di casa inducevano però i responsabili della FIFA a cambiare strada. Per le semifinali, Germania-Corea e Brasile-Turchia, venivano designati arbitri europei di collaudata esperienza, la cui direzione imparziale consentiva alle due formazioni più forti, Germania e Brasile, di imporsi con l'identico punteggio di 1-0 e di programmare una finale in grado di restituire credibilità a un Mondiale così vistosamente compromesso. La rete del Brasile era realizzata da Ronaldo, al suo sesto gol personale.

La finale per il terzo posto fra Turchia e Corea del Sud entrava nella storia dei Mondiali perché il centravanti turco, Hakan Sükür, realizzando il primo gol dopo appena 11 secondi dal fischio d'inizio, conquistava il record della rete più veloce in tutte le diciassette edizioni, soppiantando il ceco Masek che nel 1962 aveva segnato dopo 16 secondi di gioco. La Turchia si imponeva per 3-2, confermandosi l'autentica rivelazione del torneo, nel corso del quale aveva collezionato soltanto due sconfitte ed entrambe a opera del Brasile, nel girone preliminare e nella semifinale. Il terzo posto della nazionale consacrava l'ascesa del calcio turco, già annunciata dai successi dei suoi club più importanti nelle competizioni europee.

La finalissima, la sera del 30 giugno a Yokohama, vedeva il calcio fantasioso e individuale dei brasiliani prevalere sulla ferrea organizzazione collettiva della Germania. I tedeschi prendevano l'iniziativa del gioco, senza però trovare sbocchi nella difesa brasiliana, più attenta del solito, grazie alla copertura dei centrocampisti, fra i quali si metteva in luce Kleberson, e alla posizione più arretrata degli esterni Cafu e Roberto Carlos. In contropiede, era anzi il Brasile a rendersi pericoloso, ma Ronaldo falliva due favorevoli occasioni da gol su suggerimento di Ronaldinho, e Kleberson centrava in pieno la traversa con un tiro da fuori area. Nella ripresa, anche la Germania colpiva i legni della porta avversaria, con un forte calcio piazzato di Neuville, deviato sul palo dal portiere brasiliano. La partita si sbloccava su un errore di Oliver Kahn, sino ad allora il miglior portiere del Mondiale, il vero artefice delle fortune tedesche. Kahn non tratteneva un tiro centrale di Rivaldo, e sulla sua corta respinta Ronaldo centrava la porta vuota. Era la svolta decisiva. Ancora Ronaldo, questa volta a conclusione di una splendida azione corale, raddoppiava per il Brasile, laureandosi così capocannoniere del torneo, con otto gol, e raggiungendo Pelé nelle reti totali segnate ai Campionati del Mondo (dodici). Il quinto titolo mondiale del Brasile premiava la squadra più forte, capace di vincere tutte le sette partite del torneo, con un bilancio finale di 18 gol realizzati e 4 subiti. Il suo capitano, Cafu, era il primo calciatore della storia ad aver giocato tre consecutive finali mondiali (due vinte, una perduta). Al di là delle molte ombre del torneo, il verdetto finale era assolutamente limpido.

* Tratto da I Campionati Mondiali, in Enciclopedia dello Sport, Treccani, 2002 (© Treccani)