1982 | Incanta l'Italia di Rossi

di Adalberto Bortolotti *

Arrivare al terzo titolo mondiale fu, per l'Italia, una lunga corsa sull'abisso. Il ricordo del quarto posto d'Argentina, con le sue lusinghiere prospettive, si era dileguato in fretta. Sul florido calcio italiano, in vigorosa espansione, si era abbattuta una tempesta di vaste proporzioni, capace di minare alla radice l'intero fenomeno e metterne in forse il piedistallo più solido, la credibilità: lo scandalo del calcio-scommesse, le partite truccate, le manette negli stadi e, di conseguenza, il fallimento negli Europei del 1980, che erano stati programmati in casa proprio nella speranza di una grande vittoria. Quarto posto anche lì, ma assai diverso da quello esaltante di Buenos Aires.

23 giugno 1982, Estadio de Balaídos,Vigo
I "Leoni indomabili" escono dal loro primo Mondiale senza sconfitte.
Albert Roger Milla scambia affettuosità con il nostro Dinosauro
Per ricostruire restavano due anni. I mutevoli umori delle folle calcistiche furono positivamente influenzati dalla riapertura agli stranieri: un aiuto a dimenticare. La nazionale si riciclò pazientemente e inseguì la qualificazione in un clima di diffidenza e prevenzione. I censori di Bearzot rialzarono la testa. L'1-3 in Danimarca e l'1-0 sul Lussemburgo scatenarono attacchi sempre più furibondi contro il commissario tecnico. Fallito il ricupero di Bettega, gravemente infortunato in Coppa dei Campioni, Bearzot, anche contro i suggerimenti che gli provenivano dall'alto, riprese in forza Paolo Rossi, la cui squalifica per il coinvolgimento nello scandalo-scommesse terminava proprio due mesi prima dell'appuntamento mondiale. Fu quel gioco d'azzardo, condannato dai perbenisti e irriso dagli stessi tecnici, a modificare la scacchiera, assicurando all'Italia una squadra vincente, germinata come per miracolo fra i livori e le polemiche. Fu la grande vittoria di un uomo solo. Pozzo aveva conquistato due Mondiali, calandosi perfettamente nell'apparato organizzativo e sfruttandone abilmente il potenziale. Bearzot arrivò invece a combattere quell'apparato, isolandosi con i suoi giocatori in un clima di conflittualità contro gli stessi vertici federali. Ma fu proprio la sindrome di 'soli contro tutti' a far scattare nella squadra azzurra le giuste motivazioni per l'impresa.

I Mondiali di Spagna 1982 furono i primi a dimensione autenticamente universale. Africa e Asia, ormai consapevoli che i loro voti contavano come quelli degli altri, posero in termini ultimativi la richiesta di una partecipazione più larga alla fase finale. La soluzione unica e obbligata, per non toccare i privilegi tecnici delle scuole tradizionali, consisteva nell'ampliamento del numero delle finaliste. Da 16, le nazioni ammesse al Mondiale divennero così 24. Il compito di inaugurare il nuovo corso toccò alla Spagna, che si trovava nella situazione favorevole di essere già adeguatamente provvista di impianti e strutture in grado di reggere l'urto. Ancorata per lungo tempo a un'organizzazione regionalistica del calcio, la Spagna si era frantumata in tante isole perfettamente funzionanti. Il suo Mundial fu un esempio di efficienza.

2 luglio 1982, Estadio de Sarriá, Barcelona
Sotto 0:3 con gli odiati rivali, gli Argentini non ci stanno e saltano i nervi:
il ventiduenne Diego Armando lascia il campo all'85° dopo essersi fatto giustizia
Rotti gli argini, l'Africa ottenne due posti, l'Asia e l'Oceania insieme due, l'America centro-settentrionale due, contro i quattordici europei e i quattro sudamericani. Il maggior numero di posti disponibili attenuò molto la suspense delle qualificazioni. In Europa la sola esclusione di rilievo fu quella dell'Olanda, seconda alle due ultime edizioni, ma in piena crisi di ricambio generazionale. In Sud America restò fuori l'Uruguay due volte campione, a vantaggio del Perù, che da tempo gli era superiore. Trionfale risultò la qualificazione del Brasile, con quattro vittorie su altrettanti incontri, undici gol segnati e due subìti. Si annunciava come il rivale d'obbligo dell'Argentina, che alla squadra campione di quattro anni prima aveva aggiunto un giovane ed esplosivo fuoriclasse, Diego Armando Maradona. Esotiche novità arrivarono dagli altri continenti: Camerun e Algeria, Kuwait e Nuova Zelanda, mentre El Salvador e Honduras, che si erano letteralmente dichiarati guerra per partecipare ai Mondiali di Messico 1970, questa volta affrontarono in un clima solidale l'avventura.

Dato il maggior numero di partecipanti, cambiò ovviamente la formula. Sei gironi preliminari di quattro squadre ciascuno, le dodici superstiti suddivise in quattro gruppi a tre, le cui vincenti avrebbero dato vita a semifinali e finali. In tutto, era previsto un mese di competizioni.

L'Italia fu collocata nel periferico girone di Vigo, insieme con la Polonia di Zbigniew Boniek (già ingaggiato dalla Juventus per la stagione successiva), il Perù e il Camerun. Il passaggio del turno appariva una formalità. Fu invece il punto a più alto rischio dell'intero Campionato, in seguito trionfale. Gli incerti esiti iniziali degli azzurri riaccesero la polemica. Rossi era un pallido fantasma, che inseguiva in campo la passata grandezza. I riflessi appannati gli vanificavano la sola arma efficace, l'opportunismo sotto rete. A salvare la situazione furono la robustezza della difesa, la grinta di Marco Tardelli, le invenzioni di Bruno Conti che giocò in modo strepitoso. Dopo lo 0-0 con la Polonia, l'1-1 con il Perù, l'1-1 con il Camerun, l'Italia chiuse al secondo posto del girone, dietro la Polonia e affiancata al Camerun. A parità di punti e di differenza reti, gli azzurri ottennero una stentata qualificazione solo per aver segnato un gol in più dei diretti concorrenti. Il Camerun concluse il suo Mondiale senza aver perduto neppure una partita, ma questo non impedì una violenta sollevazione contro il tecnico francese Jean Vincent, che aveva diretto (con grande maestria tattica) la squadra africana. Due anni dopo, un discutibile 'Mundialgate' cercò di sollevare intorno all'incontro Italia-Camerun il sospetto della corruzione, una sopravvalutazione che quel modesto match sicuramente non meritava.

Le critiche ricevute dopo il deludente avvio indussero il clan italiano a inaugurare una singolare forma di protesta: il silenzio stampa, che avrebbe avuto in seguito tanti maldestri imitatori. Solo il capitano, Dino Zoff, era autorizzato a fornire ai cronisti le informazioni indispensabili. Questa iniziativa riscosse un grande successo di curiosità presso la stampa straniera, sicché l'Italia si trovò sulle prime pagine delle cronache internazionali, ben al di là dei meriti agonistici sino a quel momento raccolti.

8 luglio 1982, Estadio Ramón Sánchez Pizjuán, Sevilla
Altra semifinale epica dei tedeschi: Klaus Fischer pareggia così al 108°
Anche l'altra futura finalista, la Germania Ovest, incontrò impreviste difficoltà nel girone. A salvarla provvidero gli austriaci che, già sicuri del passaggio del turno, nell'ultima partita si fecero compiacentemente battere dai tedeschi, riaprendo loro le porte della qualificazione. A farne le spese fu l'Algeria, eliminata malgrado si fosse segnalata come la vera rivelazione di questo torneo. Le due rappresentanti africane tornarono così subito a casa, non senza giustificate recriminazioni. Due sole squadre chiusero il girone preliminare a pieno punteggio, l'Inghilterra e il Brasile. La Spagna, padrona di casa, si impose fruendo del tradizionale fattore campo.

I quattro gironi successivi, accorpati a seconda dei piazzamenti, videro l'Italia assegnata a un raggruppamento proibitivo, con l'Argentina campione in carica e il Brasile superfavorito. Andò meglio alla Francia, finita con Austria e Irlanda del Nord, mentre l'Inghilterra si trovò abbinata a Germania Ovest e Spagna. Polonia, URSS e Belgio formarono l'ultima terna.

Per l'Italia vi erano già pronostici di sconfitta. A Barcellona, nel piccolo stadio Sarriá battuto da un sole implacabile, gli azzurri affrontarono l'Argentina. Bearzot ordinò al terzino Claudio Gentile di montare una guardia serrata a Maradona, sino a portarlo fuori dal gioco. Gentile obbedì all'indicazione, favorito anche dalla benevolenza dell'arbitro rumeno Nicolae Rainea. Senza le prodezze del suo campione, l'Argentina si indebolì e perse fiducia. Nella ripresa, l'Italia attaccò, segnando con Tardelli e Cabrini, e consentì solo il punto della bandiera a Daniel Passarella. Rossi era ancora in crisi, ma gli azzurri erano nella condizione di aspettarlo.

Il Brasile spazzò via definitivamente l'Argentina. Maradona si fece espellere. Italia-Brasile diventava così un'eliminazione diretta, ma al Brasile, dotato di miglior differenza reti, sarebbe bastato un pareggio. Ma il Brasile voleva stravincere. A Gentile era stata affidata un'altra missione molto impegnativa: annullare il gioco di Zico. Anche quel compito fu portato a termine. Quel giorno Bearzot scelse nuovamente Paolo Rossi, proprio mentre la critica invocava la sua esclusione dalla squadra. Il primo gol fu di Rossi, poi pareggio di Sócrates, ancora Rossi, pareggio di Paolo Roberto Falcão, terzo gol di Rossi e a quel punto il Brasile si arrese. L'Italia aveva ritrovato il Pablito d'Argentina. Aveva anche battuto, in successione, le due squadre più forti del torneo.

12 luglio 1982
Grazie a un assist del Barone, Enzo Bearzot batte anche il Presidente: campione totale
Il resto fu un trionfo. Dagli altri gironi erano uscite Polonia, Francia e Germania Ovest: soltanto Europa, nella volata finale, da cui era esclusa solo la Spagna, sconfitta dai tedeschi in una partita ben arbitrata dall'italiano Paolo Casarin, restio a ogni condizionamento. Italia e Polonia si ritrovarono di fronte. A entrambe aveva giovato la fase iniziale giocata negli stadi freschi dell'Atlantico. Boniek, squalificato, non partecipò alla partita. Ma ciò era irrilevante, ormai Rossi aveva lanciato lo sprint. Altri due suoi gol, e fu conquistata la finale contro la Germania Ovest, che, pur dominata a centrocampo dalla Francia, aveva prevalso 5-4 ai calci di rigore, dopo i supplementari terminati 3-3, per l'incapacità dei francesi di gestire un vantaggio di due gol. Il fatto che a disputarsi il titolo fossero arrivate le due squadre più deludenti nella fase iniziale aveva un preciso significato. In un Mondiale così lungo e faticoso era importante saper dosare gli sforzi: era impossibile e controproducente tenere ritmi serrati dall'inizio alla fine. Il Brasile e l'Inghilterra avevano pagato a caro prezzo l'avvio sprint.

A Madrid, con il capo dello Stato Sandro Pertini a fare il tifo in tribuna, fra il re Juan Carlos e il Cancelliere tedesco, l'Italia si permise persino il lusso di sprecare un rigore, con Cabrini, prima di battere la Germania Ovest con facilità persino irridente. Bearzot aveva disposto marcature serrate, fra cui quella del giovane Giuseppe Bergomi su Karl Heinz Rummenigge. Fu ancora Rossi a segnare per primo con il suo sesto gol in tre partite. Tardelli e Alessandro Altobelli, che aveva preso il posto di Francesco Graziani, furono gli autori delle altre due reti italiane. Alla Germania Ovest rimase la consolazione di un gol di Paul Breitner, a mitigare la disfatta.

* Tratto da I Campionati Mondiali, in Enciclopedia dello Sport, Treccani, 2002 (© Treccani)