1986 | L'Argentina ringrazia Maradona

di Adalberto Bortolotti *

Quella del 1986 fu la prima replica della Coppa del Mondo in una sede già visitata. La Colombia aveva ottenuto da parte della FIFA (ancorata all'alternanza continentale, ma in difficoltà sul fronte americano) una designazione molto ottimistica. Le aspettative colombiane furono presto sopraffatte dai cronici problemi interni. Il Messico colse allora l'occasione per proporre una soluzione alternativa 'pronta per l'uso'. Gli impianti del 1970 erano ancora funzionanti, con qualche ritocco e una spesa contenuta, il Mundial avrebbe trovato sugli altipiani un sito adeguato. Il ricordo del 'magico' Mondiale del 1970 conquistò le menti e i cuori. Guillermo Canedo, il potente vicepresidente messicano della FIFA, garantì personalmente.

22 giugno 1986, Estadio Azteca, Città del Messico
Diego dopo averla combinata bella ...
Già in ristrettezza di tempi, il Messico ebbe la sfortuna di subire un rovinoso terremoto, otto mesi prima del grande appuntamento. Molti palazzi di Città del Messico crollarono come castelli di carta, inghiottendo e seppellendo migliaia di vittime. Scuole e ospedali in polvere, vecchie ville patrizie indenni senza una crepa. Ma la sera stessa, mentre nel mondo giungevano le immagini del disastro, Canedo proclamò: "Il Mundial si farà, nei tempi e luoghi stabiliti". Così fu, anche se a un prezzo molto alto. Il giorno dell'inaugurazione, una folla muta inalberava cartelli di protesta: "Il Mundial ha la sua casa, quando riavremo la nostra?" Tuttavia il Campionato servì anche a tacitare il malcontento.

I primi successi del Messico, portato a livelli competitivi inediti da un abile tecnico iugoslavo, Bora Milutinovic, cittadino del mondo e messicano d'adozione, esaltarono un popolo che dimenticava problemi e miserie, scendeva in piazza a far festa e si sentiva padrone del mondo grazie a un pallone. Il sogno del Messico si infranse però a Monterey, contro l'impietosa Germania Occidentale. Fu una sconfitta gloriosa, in linea con le tradizioni del paese. Il Mundial, come colore e allegria, finì quella sera stessa, e dopo ci fu spazio solo per il grande Maradona, capace di portare al titolo un'Argentina che, senza di lui, a stento sarebbe arrivata in semifinale. Così il Messico, che nel 1970 si era inchinato a Pelé e alla sua leggenda, sedici anni dopo celebrò il nuovo grande campione del calcio.

Il secondo Campionato del Mondo allargato a 24 finaliste aveva ritoccato la formula. Dopo i rituali sei gironi preliminari a quattro squadre, non si passò ai 'gironcini' a tre, che in precedenza si erano rivelati fonte di possibile combine, ma si tornò all'eliminazione diretta, più crudele ma inconfutabile. Per non ridurre il numero delle partite, si snaturò la fase di apertura: non soltanto le prime due squadre di ogni girone avrebbero superato il turno, ma anche le migliori quattro fra le sei terze classificate. Alla resa dei conti, si sarebbero giocate ben 36 partite solo per eliminare otto squadre. Le restanti 16 avrebbero dato vita al vero Mondiale, come lo si giocava nelle prime edizioni.

Sotto il cappello: Alexander Chapman Ferguson, allenatore della Scozia
L'Italia, campione in carica, fruì di un buon sorteggio, finendo con Argentina, Bulgaria e Corea del Sud. Bearzot aveva concluso le sue laboriose operazioni di riassetto della squadra, ripresentando un nutrito gruppo di reduci di Spagna, integrati da parziali novità e da qualche intuizione in extremis. Con Fernando De Napoli e Gianluca Vialli, il commissario tecnico ritenne di poter ripetere lo stratagemma riuscitogli otto anni prima con Cabrini e Rossi. Ma poi non credette sino in fondo a questo schema, e Vialli fu usato solo per qualche scampolo di partita, in alternativa a Conti. Tardelli e Rossi risultarono in gita-premio: i due protagonisti del 1982 non giocarono neppure un minuto, così come rimase fermo Aldo Serena, l'imponente centravanti partito dall'Italia come titolare, ma poi soppiantato in loco dall'agile Giuseppe Galderisi, ritenuto più adatto agli sforzi in altura.

L'Italia disputò contro la Bulgaria la partita inaugurale del Campionato in uno Stadio Azteca ancora ampliato (l'abbassamento di 10 m del terreno di gioco aveva consentito di ricavare un altro anello di gradinate). Gli azzurri, in vantaggio con un Altobelli in grandi condizioni, che i telecronisti messicani definivano monumental, si fecero raggiungere in chiusura dalla sola conclusione a rete dei bulgari. Pareggiarono anche con l'Argentina, in una gara di evidente non belligeranza, e infine piegarono la vivace Corea del Sud. Con quattro gol nelle prime tre partite, Altobelli si assicurò un ruolo di protagonista.

Non ci furono sorprese. Il Messico vinse addirittura il suo girone, il Brasile fece come al solito molte vittime, vincendo tutte e tre le partite, sotto la guida di Telê Santana, lo sconfitto di Spagna. Le grandi rivelazioni furono l'URSS e la Danimarca, il solo eliminato di riguardo il Portogallo. Come già in Spagna, le protagoniste della fase iniziale furono le prime a cadere. L'URSS affrontò in una partita traumatica il Belgio, che si impose per 4-3, con il determinante contributo dell'arbitro Erik Fredriksson. La Danimarca incontrò con ingenuità tattica la Spagna, finendo sconfitta da quattro gol di Butragueño, specialista del contropiede. Quasi lo emulò il centravanti inglese Gary Lineker, autore di una tripletta che annientò la Polonia. Ma il gol più spettacolare lo mise a segno il messicano Manuel Negrete, con una sforbiciata che proiettò la squadra di casa nei quarti di finale, scatenando l'entusiasmo popolare.

21 giugno 1986, Estadio Jalisco, Guadalajara
Numeri 10: Arthur Antunes Coimbra e Michel François Platini
L'Italia affrontò la Francia (campioni del mondo contro campioni d'Europa) in uno stadio periferico di Città del Messico. Bearzot visse una vigilia tormentata. Il suo credo calcistico prevedeva un gioco d'iniziativa, ma la squadra non rispondeva alle sue attese. Decise così di inserire un difensore in più, Giuseppe Baresi, con il compito di fermare l'ispiratore e il leader dei francesi, Michel Platini. Fu un boomerang. Platini, malgrado non fosse in gran forma, andò in gol dopo un quarto d'ora. La Francia raddoppiò con facilità sui giocatori azzurri a quel punto smarriti, e l'Italia andò a casa, quando ancora i giochi veri dovevano cominciare. Si chiuse lì la carriera di commissario tecnico di Bearzot, l'uomo che aveva dato all'Italia il terzo titolo mondiale.

Il quarto di finale più atteso mise di fronte Brasile e Francia. Il Brasile giocò meglio, colpì traverse e pali, ma vinse la Francia ai calci di rigore; fallirono la trasformazione dagli 11 metri tre eccellenti giocatori quali Zico, Platini, Sócrates. Il Messico di Milutinovic creò immensi problemi alla Germania Ovest del debuttante commissario tecnico Beckenbauer, il Kaiser. L'incontro finì 0-0 dopo 120 minuti. Ai rigori, il Messico cedette al 'terrore' di vincere. Mise a segno un solo tiro, contro i quattro degli impassibili tedeschi. Il Belgio batté anche la Spagna, e anche questa partita fu decisa dai calci di rigore.

Grandi tensioni avvolgevano Argentina-Inghilterra, per le ferite non ancora rimarginate della guerra delle Falkland. Maradona fu il protagonista assoluto della partita. Segnò un gol, svettando oltre il portiere Peter Shilton, e colpendo nettamente il pallone con la mano. Il tunisino Ali Bennaceur, che arbitrava, non se ne accorse e respinse le vibrate proteste degli inglesi. Sullo slancio, Maradona replicò con un gol di straordinaria fattura, uno slalom fra sei giocatori inglesi, che Diego concluse entrando in porta con il pallone al piede. Invano Lineker, tiratore scelto del Mundial, cercò di riaprire la gara. Maradona disse che era stata "la mano di Dio", gli inglesi furono accolti in patria con l'aureola di vincitori morali.

25 giugno 1986, Estadio Azteca, Ciudad de México
Patrick Vervoort, Diego Armando Maradona e Stephane Demol
Maradona replicò, con due gol contro il Belgio, ormai pago del lungo (e inatteso) cammino percorso. L'Argentina, guidata da un ottimo tecnico, Carlos Bilardo, non era una squadra eccezionale, ma il suo fuoriclasse la trasfigurava. In finale si trovò di fronte la solida Germania Ovest, che Beckenbauer aveva pilotato a fari spenti, nella fase iniziale, perché fosse in piena condizione agli appuntamenti decisivi. In semifinale, i tedeschi avevano ancora una volta battuto la Francia, come quattro anni prima. E come allora i francesi avevano giocato il calcio più brillante, ma erano stati schiacciati dalla superiorità fisica degli avversari.

Contro l'Argentina, Beckenbauer chiese al più bravo dei suoi, Lothar Matthäus, di sacrificarsi nel controllo di Maradona; il giocatore accettò senza entusiasmo (era il perno della squadra), ma con disciplina esemplare. Maradona, nell'impossibilità di agire da solista, si pose al servizio della squadra, che trovò in Jorge Valdano il suo uomo-guida. Nel cambio, alla fine, ci guadagnò l'Argentina. Quando Beckenbauer se ne accorse, la Germania Ovest era sotto di 2-0. Riuscì a rimontare, grazie a due prodezze di Rummenigge e Rudi Völler, con uno sforzo di cui Bilardo presentò subito il conto. Si profilavano ormai i tempi supplementari, e Maradona uscì dal suo forzato grigiore per un lampo, uno solo, però decisivo. Fece un lancio smarcante per Jorge Burruchaga, il quale guizzò oltre le linee tedesche e vanificò l'uscita disperata di Harald Schumacher. Era il secondo titolo mondiale dell'Argentina, ma rimase per tutti il Mondiale di Maradona.

* Tratto da I Campionati Mondiali, in Enciclopedia dello Sport, Treccani, 2002 (© Treccani)