1990 | La rivincita della Germania del 'Kaiser'

di Adalberto Bortolotti *

Sulla strada aperta dal Messico, si inserì subito l'Italia che ottenne anch'essa di organizzare per la seconda volta il Mondiale, dopo la vittoriosa e lontana esperienza del 1934. Fu Franco Carraro, commissario straordinario della Federcalcio, a dover risolvere la scomoda eredità di Bearzot alla guida della nazionale: automatica o quasi fu la designazione di Azeglio Vicini, che aveva ottenuto eccellenti risultati con l'under 21. Il nuovo commissario tecnico procedette subito a un ringiovanimento, promuovendo Walter Zenga, Paolo Maldini, Gianluca Vialli, Giuseppe Giannini, Riccardo Ferri, Roberto Donadoni, Roberto Mancini nella nazionale maggiore. Frattanto, alla presidenza federale era salito Antonio Matarrese, che assicurò al nuovo tecnico il pieno appoggio, in vista di un obiettivo imprescindibile: il quarto titolo mondiale, da conquistare nella cornice romana.

Al comando della complessa macchina organizzativa fu chiamato Luca di Montezemolo, la cui mentalità imprenditoriale si scontrò con i cronici ritardi e le anacronistiche pastoie della burocrazia. I lavori di ammodernamento e di restauro degli impianti non furono tutti impeccabili nei tempi e nelle modalità, tuttavia dal punto di vista della gestione dell'evento sportivo e del settore della comunicazione questo fu forse il miglior Campionato del Mondo di tutti i tempi.

3 luglio 1990, Stadio San Paolo, Napoli
Il "logo" delle Notti magiche italiane: gli occhi spiritati di Totò Schillaci
Con un ottimo comportamento agli Europei del 1988 (terzo posto, dietro Olanda e URSS), l'Italia di Vicini si conquistò una solida reputazione di favorita. Era una squadra brillante, ricca di talenti, con molte alternative. Dietro gli attaccanti titolari premevano Totò Schillaci e Roberto Baggio, i favoriti dei tifosi. La concorrenza non appariva formidabile. L'Argentina campione in carica esigeva rispetto, anche se Maradona non era più nella condizione fisica di quattro anni prima. Poi la solita Germania Ovest, ancora affidata a Beckenbauer, il Brasile campione del Sud America e l'Olanda campione d'Europa.

La formula fu la stessa adottata in Messico. L'Italia superò in bello stile il girone preliminare. Sin dalla partita d'esordio contro l'Austria, Schillaci si rivelò decisivo. Subentrato a Carnevale a metà del secondo tempo, mise a segno il gol della vittoria. Altri due successi contro Stati Uniti e Cecoslovacchia proiettarono gli azzurri negli ottavi di finale a punteggio pieno.

Nessuna squadra aveva destato impressione migliore. Il Brasile per la prima volta adottava il ruolo del battitore libero, in una difesa a cinque uomini, secondo il nuovo corso del tecnico Sebastião Lazaroni, attratto dai modelli europei e contestato in patria. Anche l'Inghilterra di Bobby Robson giocava un calcio assai più prudente del solito. L'Argentina, sconfitta dal Camerun nella gara inaugurale, fu salvata dall'arbitro Erik Fredriksson quando, contro l'URSS, era a un passo dall'eliminazione: Maradona esibì un altro decisivo colpo di mano, questa volta per salvare un gol certo sulla linea della propria porta. Singolare che in due edizioni consecutive, lo stesso arbitro fosse stato fatale all'URSS. Il problema degli arbitraggi discutibili stava peraltro contagiando l'intero torneo: frastornati dalle nuove norme della FIFA, diramate proprio a ridosso del Mondiale per salvaguardare gli attaccanti e favorire il gioco offensivo, i direttori di gara oscillavano fra una severità eccessiva e una tolleranza inammissibile.

Fra le 16 promosse figurarono cinque nazionali mai salite così in alto in un Campionato del Mondo: Camerun, Eire, Colombia, Romania e Costarica, guidata da Bora Milutinovic, il tecnico che quattro anni prima era stato il 'profeta' del Messico.

1 luglio 1990, Stadio San Paolo, Napoli
A 25 minuti dalla semifinale, scoppia la gioia di un continente dopo il gol di Eugene Ekeke.
Ci penserà uno dei maggiori civil servant dell'imperialismo britannico,
Gary Lineker, a fare rinviare la festa
Negli ottavi, un'Argentina dimessa riuscì a battere il Brasile. La partita fu dominata dai brasiliani, che non riuscirono però a concretizzare la loro superiorità per la sfortuna (tre pali) e l'incapacità degli attaccanti. Maradona, stremato dalla fatica, trovò il guizzo decisivo a pochi minuti dalla fine, offrendo a Claudio Paul Caniggia il pallone di una storica vittoria. Il Camerun, con una doppietta del suo centravanti Roger Milla, eliminò la Colombia, in uno scontro di matricole, mentre la Costarica terminò la sua corsa di fronte alla solida Cecoslovacchia. L'Olanda, qualificatasi quasi per caso, con molti suoi campioni fuori forma (irriconoscibile Marco Van Basten) fu battuta dalla Germania Ovest più chiaramente di quanto indicasse il punteggio di 2-1, che chiuse la sfida di Milano. Solo ai supplementari, Iugoslavia e Inghilterra vennero a capo di Spagna e Belgio. Il gol della vittoria per gli inglesi fu segnato da David Platt al 119′. All'Italia era toccato l'ostico Uruguay, che si rifugiò in una tattica di ostruzionismo, punita alla distanza dai gol di Schillaci e di Serena. Anche Baggio aveva trovato posto in prima squadra. La nazionale di Vicini, sino a quel punto, non aveva ancora subito un gol, segnandone sei.

Nei quarti continuò la buona sorte dell'Argentina, che piegò a Firenze la Iugoslavia ai calci di rigore, dopo 120 minuti chiusi sullo 0-0. Pur ridotti in dieci uomini da un'ingiusta espulsione, gli slavi avevano dominato, ma i campioni in carica riuscirono a imporsi dal dischetto, malgrado Maradona avesse fallito la trasformazione. Un gol di Schillaci consentì a un'Italia appannata di domare la resistenza dell'Eire, guidata con grande realismo tattico da Jackie Charlton. A Vicini toccava in semifinale un'Argentina arrivata sin lì più per caso che per merito.

Nell'altra parte del tabellone finivano, ancora una volta, due storiche rivali dei Campionati del Mondo, Germania Ovest e Inghilterra. Ne l'una né l'altra erano state convincenti: i tedeschi avevano avuto ragione dei cechi con un rigore di Matthäus; gli inglesi avevano addirittura sofferto contro il Camerun, vera rivelazione del torneo, raggiunto da un rigore di Lineker a 7 minuti dalla fine, e battuto, nei tempi supplementari, da un altro rigore di Lineker. L'arbitro messicano Edgardo Codesal era stato in pratica il 'giustiziere' degli africani, protagonisti coraggiosi di un movimento in impetuosa crescita.

A Napoli, il duello fra la nazionale di casa e il diletto Maradona poneva al pubblico delicati problemi: tifo diviso, anche se il patriottismo sembrava prevalere sugli spalti. Vicini lasciava fuori Baggio, protagonista nelle ultime vittorie e perfetto partner di Schillaci, per reinserire Vialli, che dopo un lieve infortunio (e un accenno di polemica) intendeva fermamente riprendersi il posto di titolare. Tutto sembrava andare ugualmente per il meglio, perché Schillaci apriva le marcature, dopo poco più di un quarto d'ora, partendo da una sospetta posizione di fuorigioco, che peraltro la terna arbitrale diretta dal francese Michel Vautrot non segnalava. Forse per rimediare, Vautrot favoriva di lì in avanti gli argentini, in particolare omettendo di espellere Ricardo Giusti, dopo aver già messo mano al cartellino. Il pareggio di Caniggia, primo gol incassato dall'Italia in tutto il Campionato, pesava sulla coscienza di Zenga e mandava in tilt l'Italia e il suo pilota. Usciva Vialli, ma al suo posto entrava Serena e non Baggio. Quest'ultimo prendeva poi il posto di Giannini. Nei supplementari era finalmente espulso Giusti, ma ormai era tardi. Ai rigori, gli errori di Donadoni e Serena davano modo a Maradona di firmare dal dischetto l'ingresso in finale di un'Argentina inadeguata, che aveva penosamente arrancato per tutto il corso del torneo.

8 luglio 1990, Stadio Olimpico, Roma
Le lacrime di Diego Armando Maradona: non solo per la sconfitta contro i tedeschi
ma anche per non essere riuscito a zittire gli hijos de puta italiani
che lo avevano fischiato in tutti gli stadi che non fossero il San Paolo
Per l'Italia era un fallimento, anche se i numeri dicevano il contrario. Superando l'Inghilterra nella 'finalina' per il terzo posto (gol di Baggio, pareggio di Platt, suggello finale di Schillaci, che diventava così tiratore scelto del Mondiale con sei centri, esattamente come Rossi in Spagna) gli azzurri chiudevano con un bilancio di sei vittorie e un pareggio. Avevano cioè conquistato, in una teorica classifica, 13 punti sui 14 disponibili. Quel solo pareggio era però costato un titolo che appariva largamente alla portata. Matarrese non perdonò Vicini, formalmente confermato, ma in seguito sostituito alla prima occasione con Arrigo Sacchi.

In finale erano dunque arrivate le stesse squadre che si erano contese il titolo allo stadio Azteca quattro anni prima: un'Argentina stremata e una Germania Ovest quadrata, ma senza genio. Nella semifinale di Torino i tedeschi avevano piegato gli inglesi con i calci di rigore, dopo che anche i supplementari si erano chiusi sull'1-1. Beckenbauer e Bilardo ancora di fronte: stesso copione, ma diverso l'epilogo. In una finale di rara bruttezza, l'Argentina pagò in un colpo solo la fortuna che l'aveva accompagnata sino a quel momento. L'ostilità del pubblico romano, che fischiò l'esecuzione dell'inno nazionale argentino, strappò a Maradona lacrime di rabbia e insulti. Lo stadio Olimpico inneggiava a Völler, l'attaccante tedesco che giocava nella Roma. L'arbitro designato fu il messicano Codesal, che pure aveva commesso ripetuti errori nel corso del torneo, segnalandosi per una serie di rigori di dubbia validità. Le due squadre, senza offrire emozioni e senza tirare quasi mai in porta, stavano andando ai tempi supplementari, quando Codesal punì con il calcio di rigore un fallo argentino a qualcuno apparso dubbio. Il terzino Andreas Brehme trasformò freddamente e Beckenbauer poté alzare una Coppa che dava alla Germania Ovest il terzo titolo mondiale, ma poco aggiungeva alla sua gloria. D'altra parte i tedeschi venivano da due finali perdute, con l'Italia nel 1982 e con l'Argentina nel 1986, e quindi lo scettro ne premiava la continuità agli altissimi livelli.

* Tratto da I Campionati Mondiali, in Enciclopedia dello Sport, Treccani, 2002 (© Treccani)