1994 | Il ritorno del Brasile

di Adalberto Bortolotti *

Dopo aver concentrato nell'arco di dodici anni, dal 1958 al 1970, i suoi tre titoli mondiali, tutti legati alla carismatica figura di Pelé, il Brasile era andato declinando. Dapprima gradualmente (quarto nel 1974 in Germania, terzo nel 1978 in Argentina), poi con un crollo più vistoso: nel 1982 in Spagna, nel 1986 in Messico e nel 1990 in Italia non si era più affacciato alla fase decisiva, pur allineando in tutte e tre le occasioni formazioni altamente competitive sotto il profilo tecnico. Nella nazionale erano riemersi i vecchi vizi, la presunzione, lo scarso senso pratico, né era valso a guarirli il passaggio da uno stratega del gioco offensivo e al limite spericolato, come Telê Santana, a un tecnico prudente e quasi 'catenacciaro' quale Sebastião Lazaroni, il teorico della difesa a cinque uomini. Il Brasile tornò a essere campione del mondo, e si vestì per la quarta volta con i colori dell'iride, nel torneo del 1994, quando ‒ capriccio della sorte ‒ presentò, nell'inedita cornice americana, una nazionale decisamente di minore qualità, e meno ricca di campioni, rispetto a quelle che avevano fallito i più recenti assalti.

17 giugno 1994, Soldier Field, Chicago
Diana Ross inaugura la 1994 FIFA World Cup
Sin dal 4 luglio 1988 la FIFA aveva ratificato l'assegnazione del Mondiale del 1994 agli Stati Uniti che ancora non l'avevano mai ospitato. La conquista di un pianeta rimasto ancora per lo più inesplorato sembrava davvero il modo migliore per celebrare il novantesimo anniversario della Confederazione mondiale, che aveva appunto visto la luce nel maggio del 1904. Gli Stati Uniti non potevano essere considerati un paese calcistico, anzi il soccer risultava piuttosto estraneo alla loro cultura sportiva, pur se molto praticato in ambito giovanile e scolastico. Ma per uno spettacolo che si proclamava (dati alla mano) il più grande del mondo, il proscenio americano era una meta obbligata. In pratica, era il 'matrimonio' più fastoso della storia moderna fra sport e affari, in attesa di aprire, nell'ormai prossimo terzo millennio, ai mercati emergenti dell'Estremo Oriente e dell'Africa.

L'evento si accompagnò all'introduzione di nuove regole, ben tarate sulla mentalità americana, che non concepisce il pareggio, esige un vincitore e chiede emozioni forti. La novità più importante riguardò i tre punti assegnati alla vittoria, contro il solo punto riservato al pareggio: con questo sistema, già adottato in molti tornei nazionali, si intendevano eliminare le 'alchimie' dei gironi preliminari, dove spesso il calcolo prendeva aggio sull'agonismo. Purtroppo, l'altra faccia della medaglia fu che la spettacolarità, e soprattutto l'aspetto televisivo, schiacciò le vere esigenze sportive. Poiché l'audience contava più della salute dell'atleta e del livello tecnico delle partite, si giocò spesso sotto l'impietoso sole di mezzogiorno, un vero attentato alla regolarità del gioco.

Le qualificazioni richiesero dolorosi sacrifici: fra le 24 finaliste mancavano nazionali storiche, come quelle di Uruguay, Inghilterra, Francia, nonché la Danimarca campione d'Europa in carica. In compenso, numerose erano le individualità di spicco: da Roberto Baggio, Pallone d'oro 1993, al suo omologo sudamericano, il colombiano Carlos Valderrama, per arrivare ai due più forti centravanti del momento, il brasiliano Faria Romário e l'argentino Gabriel Batistuta. Nell'Argentina, però, l'autentica attrazione era costituita dal ritorno di Maradona. Caduto nel vortice della droga, aveva conosciuto anche la vergogna del carcere, prima di essere avviato a un programma di riabilitazione. Al calcio era sicuramente mancato un personaggio del suo fascino: quella che sembrava la miracolosa rinascita di un campione si trasformò però in un'altra, dolorosa caduta.

Due squadre erano attese con particolare interesse, per il calcio nuovo predicato dai loro tecnici: l'Italia di Arrigo Sacchi e la Colombia di Francisco Maturana. Le ultime edizioni avevano visto un livello di gioco un po' più basso, sotto il profilo tattico. Sia l'Argentina di Bilardo sia la Germania di Beckenbauer adottavano il libero fisso e una folta copertura difensiva. Italia e Colombia giocavano la zona pura, senza alcun adattamento, e promettevano lo spettacolo prima del risultato. L'Italia debuttò contro l'Eire e fu una delusione cocente. Gli irlandesi, arroccati secondo lo stile di Jackie Charlton, si imposero per 1-0. Sugli azzurri si scatenarono polemiche furiose. Nel successivo match, contro la Norvegia, l'Italia rimase presto in dieci uomini, per l'espulsione del portiere Gianluca Pagliuca. Per riequilibrare tatticamente la squadra, Sacchi tolse dal campo il campione più rappresentativo e più amato, Baggio, e gli azzurri, benché inferiori numericamente, riuscirono a vincere grazie a una strepitosa partita di Beppe Signori e a tornare in corsa. Ma gli stenti non erano finiti: il pareggio contro il modesto Messico fece terminare le quattro squadre del girone alla pari. Il computo delle reti assegnò al Messico il primo posto, all'Eire il secondo. L'Italia, terza, venne 'ripescata': 16 squadre dovevano passare al turno successivo, e l'Italia fu appunto la sedicesima. Per il rotto della cuffia, l'avventura continuava.

21 giugno 1994, Foxboro Stadium, Boston
Sì, ancora un capolavoro di Diego Armando: l'ultimo in un Mondiale
La Colombia, eliminata al primo turno per le sconfitte subite contro Romania e Stati Uniti (questi ultimi guidati da Bora Milutinovic), deluse così profondamente le attese dei tifosi che al suo ritorno a casa vi furono reazioni di violenza criminale con conseguenze drammatiche: il difensore Andres Escobar, che aveva provocato uno sfortunato autogol contro gli USA, venne trucidato a colpi di mitraglietta mentre usciva da un ristorante. Sul Mondiale americano, sia pure in via indiretta, pesa ancora quella macchia.

L'Argentina cominciò in modo trionfale, travolgendo la Grecia con tre gol di Batistuta e uno stupendo 'assolo' di Maradona che pareva miracolosamente risorto. Battuta anche la Nigeria, e prima dell'accademico match con la Bulgaria, l'Argentina venne gelata dalla notizia che Maradona era stato trovato positivo al controllo antidoping. Per evitare punizioni alla squadra, la Federazione argentina sospese il giocatore e lo ritirò dalla competizione. Restò il sospetto che il fuoriclasse, di cui tutti conoscevano la situazione, fosse stato usato senza troppi scrupoli per aumentare il richiamo del torneo e poi abbandonato a se stesso una volta raggiunto lo scopo.

Nella fase a eliminazione diretta, l'Italia raggiunse improvvisamente una forma perfetta. O meglio, fu Baggio a trovare una condizione strepitosa e a trascinare la squadra. Negli ottavi, contro una Nigeria che aveva condotto in vantaggio tutta la partita, Baggio inventò il gol del pareggio e nei tempi supplementari trasformò il rigore decisivo. Nei quarti ancora una sua prodezza a 3 minuti dalla fine spezzò l'equilibrio con la Spagna. In semifinale, fu una sua fulminea doppietta a battere la Bulgaria, che si era fatta strada sin lì con grande lucidità tattica e con i guizzi del lunatico fuoriclasse Hristo Stoichkov. In quel primo tempo contro i bulgari, Baggio aveva toccato il punto più alto della sua parabola. A 20 minuti dalla fine, però, era stato costretto a lasciare il campo, vittima di un serio infortunio che ne metteva a rischio il ricupero per la finale, la quinta raggiunta dall'Italia nella storia dei Mondiali.

Alla finale era arrivato anche il Brasile, che dopo aver vinto in modo autorevole il girone preliminare, aveva incontrato notevoli difficoltà negli ottavi contro i padroni di casa. Gli USA, tatticamente ben disposti da Milutinovic, erano riusciti a chiudere tutti gli spazi. Solo nei minuti finali, un gol di José Bebeto consentì al Brasile di saltare l'ostacolo. Ancora più arduo si rivelò il quarto di finale contro l'Olanda: 2-0 per il Brasile, con i puntualissimi attaccanti Bebeto e Romário, impetuosa rimonta olandese sino al 2-2. Fu un calcio di punizione da 30 metri del terzino Claudio Branco a chiudere il conto. Branco aveva trovato posto in squadra per la squalifica del titolare Leonardo. Era un Brasile anziano negli uomini chiave, non sempre brillante, però ben organizzato, con due leader a centrocampo, Carlos Dunga e Mauro Silva, e due uomini velocissimi in attacco, Romário e Bebeto. Gli altri giocatori non erano fenomenali. In semifinale, il Brasile incrociò la Svezia, la squadra rivelazione, che nel turno precedente aveva vinto ai rigori sulla Romania dopo un'emozionante altalena di vantaggi (la Romania aveva in precedenza battuto l'Argentina, traumatizzata dal caso Maradona). Romário, all'80′, chiuse il conto, dopo non poche ambasce.

17 luglio 1994, Rose Bowl, Pasadena
Il rigore di Demetrio Albertini
Brasile-Italia riproponeva la finale di Messico 1970, ma gli azzurri vi si accostavano con maggiori chances di vittoria. Dimenticato ormai lo stentato avvio (che si era verificato, d'altra parte, anche nel vittorioso Mundial spagnolo del 1982), l'Italia di Sacchi pareva matura per la grande conquista. Nell'occasione, il commissario tecnico azzurro recuperò Franco Baresi, il 'regista' della difesa, operato di menisco appena venti giorni prima, e schierò anche Baggio, dopo molte esitazioni. Beppe Signori sarebbe stato un sostituto più che degno, ma non sembrava giusto negare la gioia della finale al campione che più di ogni altro si era prodigato per conquistarla. Entrambe le squadre si schierarono con quattro difensori in linea, quattro centrocampisti e due attaccanti. Al Rose Bowl di Pasadena, davanti a 93.000 spettatori, la partita iniziò a mezzogiorno e mezzo, in condizioni climatiche micidiali: 36° di temperatura, tasso di umidità al 70%. Il caldo, il timore reciproco, il modulo tattico speculare, la stanchezza accumulata nel corso del torneo, furono tutti fattori che contribuirono a rendere la partita povera di emozioni. Il Brasile attaccò di più, l'Italia (con Baggio inesistente) si limitò ad assistere. L'unico brivido fu un palo colpito da Mauro Silva con un forte tiro da lontano. I tempi supplementari furono un inutile martirio per atleti ormai allo stremo delle forze. Sbagliò una facile occasione Romário, ebbe una palla propizia Baggio, ma la calciò fiaccamente fra le braccia di Claudio Taffarel. La decisione fu affidata ai calci di rigore. Baresi inaugurò la serie, tirando oltre la traversa. Sbagliò anche Daniele Massaro. L'ultimo errore fu di Baggio, che concluse il suo strepitoso Mondiale nella maniera peggiore. Seppure non entusiasmante, la vittoria del Brasile risultò legittima, alla luce della finale. All'Italia rimase il consueto strascico di rimpianti e di polemiche.

* Tratto da I Campionati Mondiali, in Enciclopedia dello Sport, Treccani, 2002 (© Treccani)