1998 | Zidane profeta in patria

di Adalberto Bortolotti *

Sulla strada aperta da Messico e Italia, anche la Francia ottenne la sua seconda organizzazione mondiale, a sessant'anni di distanza da quella del 1938. L'ultima edizione del secolo chiudeva ufficialmente il criterio dell'alternanza fra Europa e America: nel 2002 il Mondiale sarebbe entrato in un nuovo continente, l'Asia, con la partnership fra Giappone e Sud Corea. Non si attese però il 2000 per inaugurare l'allargamento delle squadre finaliste, da 24 a 32, secondo un processo di 'gigantismo' inarrestabile. Aumentò anche il numero delle nazioni detentrici del titolo: il successo della squadra di casa, evento che non si verificava da vent'anni (Argentina 1978), consentì alla Francia di unirsi a Brasile, Italia, Germania, Argentina, Uruguay, Inghilterra.

Quella della Francia fu una vittoria multietnica: soltanto otto dei ventidue componenti la rosa della nazionale erano francesi puri. Nelle vene degli altri scorreva sangue algerino, armeno, basco, portoghese e dei territori d'oltremare. Eppure, proprio l'esemplare spirito di squadra, l'armonia del collettivo, furono le armi decisive di una nazionale che arrivò al traguardo tra molte difficoltà, ma con il merito di aver sempre privilegiato la strada maestra del gioco sulle alchimie tattiche e i calcoli opportunistici.

Tecnicamente non fu un torneo esaltante, anche se caratterizzato da grandi individualità, non tutte pari alle aspettative: da Ronaldo, l'astro emergente, a Matthäus al suo quinto Mondiale in campo, da David Beckam a Raúl, da Alessandro Del Piero a Batistuta, da Juan Sebastian Verón a Rivaldo, da Zinedine Zidane a Zvonimir Boban, da Marcelo Salas a Davor Suker, da Dejan Savicevic a Baggio, da Gheorghe Hagi a José Luís Chilavert, il portiere goleador del Paraguay.

Erano occorsi due anni, 649 partite e 1922 gol per ridurre a 30 (le altre due partecipanti erano qualificate di diritto, Brasile come campione in carica, Francia quale paese organizzatore) le 172 nazioni iscritte al Mondiale di fine secolo. Debuttanti assolute alla fase finale risultarono le nazionali di Giamaica, Sudafrica, Croazia e Giappone.

Gli otto gironi preliminari, ciascuno composto da quattro squadre, selezionarono le sedici superstiti senza i complicati ripescaggi delle ultime edizioni. La vittima eccellente di questa fase iniziale fu la Spagna, molto accreditata alla vigilia, incapace di rimediare alla sconfitta inaugurale a opera della Nigeria, sulla cui panchina sedeva Milutinovic. Licenziato dal Messico nel corso delle qualificazioni, il tecnico serbo era stato ingaggiato al volo dall'emergente squadra africana. Tornò subito a casa, ma ugualmente felice, l'Iran che in una partita dai forti significati politici (e temutissima dai servizi di sicurezza) era riuscito a sconfiggere gli Stati Uniti: peraltro, gli atleti in campo e i rispettivi sostenitori sugli spalti avevano presto fraternizzato, scrivendo una bellissima pagina di sport. Ben diverso lo spettacolo offerto dagli hooligans inglesi e dagli ultras neonazisti tedeschi, protagonisti di cruente violenze in varie città, con aggressioni alle forze dell'ordine.

L'Italia, passata dal calcio futuribile di Sacchi a quello molto più prosaico di Cesare Maldini, presentò una squadra dalla difesa quasi impenetrabile, ma poco propensa ad assumere l'iniziativa del gioco. Del Piero, che doveva essere l'uomo guida, non aveva perfettamente recuperato dopo un lungo infortunio. Sollecitato dal pubblico e dalla critica, Maldini era stato indotto a convocare Roberto Baggio, al suo terzo Mondiale, riservandogli però un ruolo di rincalzo. Eppure proprio Baggio fu decisivo nella prima partita, contro il Cile, pareggiata su rigore a cinque minuti dalla fine. La grande forma del centravanti Christian Vieri, che segnò in tutte le partite del girone per complessivi quattro gol, e la modestia degli avversari consentirono comunque agli azzurri di conquistare il primo posto del raggruppamento con largo margine di vantaggio sullo stesso Cile.

Francia e Argentina, tre vittorie su tre, furono le protagoniste più brillanti di questa prima fase, mentre il Brasile dovette assorbire, senza conseguenze immediate, una brusca e inattesa sconfitta a opera della Norvegia. L'Italia incontrò proprio la Norvegia negli ottavi di finale. Maldini aveva rilanciato Del Piero, sacrificando Baggio. Il gol di Vieri, puntuale e sollecito, fu difeso con successo sino in fondo. Ma il gioco degli azzurri destava ampie perplessità, inadeguato com'era al potenziale tecnico della squadra. Del Piero sbagliò almeno tre facili occasioni da gol, un gruppo di spettatori italiani contestò Maldini, imputandogli il mancato impiego di Baggio, rimasto in panchina per tutti i novanta minuti.


Incredibilmente sofferto fu l'impegno della Francia contro il Paraguay. Novanta minuti sullo 0-0 e tempi supplementari all'insegna dell'ultima novità, il 'golden gol', ovvero 'chi segna per primo vince'. Toccò a Laurent Blanc, il libero francese, di inaugurare l'inedita formula e realizzare la rete risolutrice, quando già si annunciava la soluzione ai calci di rigore. Ai rigori si impose invece l'Argentina sull'Inghilterra, in un match alterno e spettacolare, compromesso per gli inglesi dall'espulsione di David Beckam, dopo che Mark Owen, il diciottenne attaccante del Liverpool, si era conquistato la ribalta segnando un memorabile gol in velocità.

Con un gol di Suker, il 'braccio' della Croazia (la 'mente' era Boban), i croati eliminarono la Romania, mentre i loro rivali iugoslavi, più accreditati, venivano rispediti a casa dall'Olanda. Il Brasile, con un Ronaldo in grande forma, prevaleva sul Cile, mentre la Germania rimontava solo nel finale sul Messico. Di grande curiosità era oggetto la Nigeria, dal gioco indisciplinato ma a tratti travolgente. L'assenza del portiere titolare fu però fatale agli africani contro la quadrata Danimarca, che impartì loro una severa lezione. Alla resa dei conti, erano rimaste in lizza solo le scuole tradizionali: due nazionali sudamericane, Brasile e Argentina, contro sei europee.

L'Italia affrontò nei quarti i padroni di casa, proprio come nei Mondiali francesi di sessant'anni prima. L'esito fu diverso. Maldini ripropose Del Piero, stanco e non in forma, e armò una partita di puro contenimento. La Francia, che aveva un'eccellente difesa, grandi centrocampisti, ma non straordinari attaccanti, tenne l'iniziativa del gioco, ma non riuscì a 'sfondare'. A un quarto d'ora dalla fine Baggio rilevò Del Piero. E fu proprio Baggio, nei tempi supplementari, a sfiorare il gol della qualificazione facendo acuire i rimpianti per il suo impiego 'a piccole dosi'. Non essendoci stato il 'golden gol' la partita fu risolta ai calci di rigore. I francesi commisero un solo errore (Bixente Lizarazu), gli italiani due (Demetrio Albertini e quello decisivo di Luigi Di Biagio). Così l'Italia tornava a casa. Sfortuna, certo, ma anche cattiva gestione tattica, con un eccesso di 'difensivismo' che era costato, oltre all'eliminazione, numerose critiche.

Il Brasile, con una doppietta di Rivaldo, venne avventurosamente a capo della Danimarca, mentre la Germania espiava tutta la sua precedente fortuna contro la Croazia, che la spazzava via per 3-0. La partita migliore fu quella che vide l'Olanda, forse depositaria del gioco più piacevole, piegare l'Argentina con una rete di Dennis Bergkamp al 90′. A parte la disfatta dei tedeschi, le altre tre gare avevano visto un equilibrio diffuso e si sarebbero potute concludere con l'esito opposto. Fu questa, in fondo, la caratteristica di un Mondiale dai valori ravvicinati.

La Croazia, una vera rivelazione, creò non poche difficoltà anche alla Francia, in semifinale. Passata in vantaggio con Suker, fu rimontata da una irrituale doppietta di Thuram, difensore di classe eccelsa, però tutt'altro che facile al gol. Del resto, gli attaccanti francesi si liberavano raramente al tiro e svolgevano piuttosto una funzione gregaria, aprendo spazi per gli inserimenti di terzini e mediani. Nell'altra semifinale, il Brasile visse a lungo di rendita sul gol di Ronaldo, per poi essere raggiunto agli sgoccioli della gara dal guizzo dell'olandese Patrick Kluivert. Si arrivò ai rigori, e i brasiliani furono infallibili.


La finale tra Francia e Brasile ebbe un prologo un po' misterioso. Ronaldo non doveva giocare. Il suo nome non figurava nella formazione ufficiale diramata tre quarti d'ora prima del fischio d'inizio. Colto da un attacco di convulsioni, conseguenza dell'eccessivo stress, il campione era stato trasportato d'urgenza in ospedale. Dimesso, fu rispedito di corsa allo stadio e mandato in campo. La grande stella non poteva mancare all'ultima recita. Lo voleva il business, lo esigevano gli sponsor. Ronaldo si mosse come un'ombra, in quella finale. Non ci fu mai seriamente partita. Il Brasile era teso e smarrito, cercava invano l'azione individuale dei suoi 'solisti', la sola arma che potesse salvarlo dalla superiore organizzazione dei francesi. Nel giorno della defaillance di Ronaldo, Zidane, l'erede di Platini, era invece in forma smagliante. Una sua doppietta, di testa, tolse ogni incertezza al match. Un altro centrocampista, Emmanuel Petit, chiuse il conto. La Francia fu una vincitrice degna, ma anomala. Fu la prima volta, nella storia di 16 Mondiali, che si impose una squadra priva di un grande attaccante. Fu anche la prima volta che il Mondiale fu 'vinto' da due squadre: la Croazia, salita sul podio a spese dell'Olanda, festeggiò il suo terzo posto come se fosse una vittoria.


* Tratto da I Campionati Mondiali, in Enciclopedia dello Sport, Treccani, 2002 (© Treccani)